L.A. Lakers vs Orlando Magic L 103-113 (8-9)


 

Lakers irriconoscibili. Arriva la nona sconfitta stagionale nella maniera peggiore possibile. La condanna arriva dall’Hack-a-Howard e da una difesa inesistente (anche con delle rotazioni sospette). Si ricomincia da capo.


Inizia la partita con un trend che si ripeterà per tutto il primo tempo: solidi in attacco, in particolar modo con Gasol – il quale sfoggia un look che ricorda i suoi trascorsi in Tennessee – ed esasperatamente pigri in difesa sul perimetro, chiudendo poco e male sugli scarichi e sulle uscite dai blocchi.

Nelson, Afflalo, e l’ineffabile Redick (un giocatore che insegna basket, solo per come si muove in campo) fanno sì che Orlando resti a contatto nonostante l’abissale differenza di talento, di centimetri ma evidentemente non di voglia.

E quando non c’è la giusta mentalità, sale in cattedra colui che da 17 anni ci vizia una notte si e l’altra pure. Mettendo questa partita in un vuoto d’aria, potremmo dire che sbaglia, che non dovrebbe prendersi 13 tiri nel solo primo tempo, ma la verità è che non si può prescindere da un Kobe che è al suo livello di intensità, e cioè quello massimale.

Solo Jamison (1-1 da tre, 8 punti) e in parte Gasol cercano di pareggiare l’intensità messa in campo dal 24. E dopo un illusorio +8 (33-25) a inizio secondo quarto, il duro lavoro dei Magic comincia a pagare: Redick è un trattato di uscite dai blocchi, Big Baby punisce con regolarità, Afflalo è perennemente in attack mode e la difesa dei Lakers è una escalation di mediocrità.

Dwight prende si nove rimbalzi nel solo primo tempo, ma si limita a soli 2 jumper e non attacca l’area, lasciando viceversa spazio ai tagli dei suoi vecchi compagni. Un broken play sulla sirena del 2° quarto regala una tripla con 5 metri di spazio ad Afflalo, che non perdona. All’intervallo è, inaspettatamente ma non troppo, 52 pari.

Il terzo quarto, se possibile, inizia in modo ancora peggiore. Cadiamo rapidamente a -3 (59-62) con un mix letale di egoismo, menefreghismo e confusione. Purtroppo (o per fortuna) all’appello manca la pazzia, donata come ogni sera da Metta, che riesce a sparare tre triple consecutive tanto pesanti quanto senza ritmo.

Il mantra da ripetere però, contro Orlando e tutte le altre squadrette di fascia medio-bassa, è: non lasciate che si avvicinino troppo, perchè poi potremmo vedere l’Hack-a-Howard. E Jacque Vaughn (scuola Spursello come pochi) non se lo fa ripetere due volte: 1/4 a chiudere il terzo quarto (77-73 Lakers).

La tattica funziona. E sarà, insieme alla difesa dei Lakers, il più grande alleato dei Magic per l’intera partita. L’Hack-a-Dwight può funzionare o meno, ma funzionerà sempre se mettiamo in campo questi attributi. E non è un problema che viene dal nulla, sapevamo che prima o poi sarebbe accaduto, sapevamo che prima o poi l’avremmo pagato caro. Solo che, nella solita Laker fashion, cadiamo malissimo. Ci sciogliamo come neve al sole, concediamo 40 punti in 12′ a un avversario mediocre (ma motivatissimo), e cadiamo come dei bambini nella loro trappola – fermare il cronometro per alterare il ritmo di gara e mandare Howard in lunetta. Che firma un orrendo 9/21. Andiamo sotto così velocemente (2 triple di Nelson, 19+13) che non facciamo in tempo a reagire. O non ne abbiamo nemmeno voglia. Il finale è 103-113.

Next stop, Houston. Che cosa ci dobbiamo aspettare? Tutto il repertorio dell’orrore o qualcosa di semplicemente umano e costante? Time will tell.

l.s.


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