“Se non credi in te stesso, nessun altro lo farà” è forse la frase che riassume meglio la Mamba Mentality di Kobe Bryant. Eppure sembra perfetta anche per definire la fiducia in se stesso di Magic Johnson. Sì, perché probabilmente sul pianeta non esiste un uomo che creda di più nelle proprie capacità di Earvin “Magic” Johnson Jr. I Gialloviola e Los Angeles sono la sua vita, da giocatore, prima, ha reso Inglewood il centro del mondo e il Forum il posto più cool della Città degli Angeli: 13 stagioni, 9 finali NBA, 5 volte campione, 3 MVP. Poi, dopo il ritiro, ha costruito il suo impero in città, diventando uno dei businessman più celebrati e riconosciuti d’America, anche grazie ai suggerimenti preziosi di Jerry Buss, suo presidente, migliore amico, in pratica un padre adottivo. A tempo perso, negli ultimi anni, ha persino rialzato i Dodgers. Da appena sedici mesi, insieme al gm Rob Pelinka, lo storico manager di Kobe, occupa il vertice dei Lakers, ricoprendo, per volere diretto della figlia prediletta del Dottor Buss, Jeanie, l’incarico di Presidente delle Basketball Operation.
La missione, questa volta, sembra quantomeno complicata: riportare la franchigia più importante della NBA dove merita, ai vertici della lega. Lo scorso 26 giugno i Lakers presentano i rookies scelti nel draft di New York. L’attenzione (e la tensione) di tutti i presenti è tutta sulla free agency ’18, ormai alle porte. “Sapete quante volte ho giocato le NBA Finals?” chiede Magic ai presenti, “pensate davvero che possa essere spaventato dalla free agency? Ho giocato e vinto contro i grandi Celtics e contro Larry Bird in Finale. Forza ragazzi! Sono stato 9 volte in Finale. Ho giocato e vinto anche un campionato NCAA” (andrebbero aggiunte una finale Olimpica con il Dream Team ’92, una infinità di partite importanti e soprattutto la battaglia, vinta, contro l’HIV). “Io sono Magic Johnson!” Il messaggio è lo stesso del celebre “Don’t fear, Magic is here!” prima della decisiva gara 6 del 1980, quando da rookie, a Philadelphia, giocò da centro, contro i Sixers di Julius Erving, mettendo a referto 42 punti, 15 rimbalzi, 7 assist e 3 palle rubate e portando i suoi Lakers alla vittoria del primo dei cinque titoli vinti negli anni ’80.
Poco dopo aggiunge ai numerosi presenti che avrebbe rinunciato al suo incarico se i Lakers non fossero riusciti a firmare una star entro le prossime due estati. Magic non conosce la parola paura. Dopo appena due settimane arriva a Los Angeles la più importante superstar della NBA. Dopo la dichiarazione di intenti del 2 luglio, ieri, 9 luglio 2018, i Lakers hanno ufficialmente annunciato la firma di LeBron James. Come è stato possibile che due rookie del front office, Magic Johnson e Rob Pelinka siano riusciti a portare a Los Angeles il miglior giocatore del mondo in appena un anno? La risposta è semplice: un susseguirsi di mosse intelligenti (talvolta anche impopolari) che hanno gradualmente ridato ai Lakers soprattutto quella credibilità persa negli anni bui di Jim Buss e Mitch Kupchak. Nel febbraio 2017, Magic e Rob, lo storico agente di Kobe Bryant, prendono il timone di una franchigia che, per il quarto anno consecutivo sarebbe finita fuori dai playoffs, nei bassifondi della NBA 26-56, con il terzo peggior record. A completare lo scenario funesto, nelle due estati seguenti, i Lakers avrebbero avuto pochissimo spazio salariale e la loro unica scelta nel draft 2017 sarebbe finita a Philadelphia nel caso in cui non fosse finita nella top 3 dopo la lotteria. Una situazione davvero complicata. La prima mossa arriva prima della deadline: il duo “Maginka” spedisce Lou Williams a Houston in cambio della ventottesima scelta e Corey Brewer. La sera del 15 maggio 2017 Magic presenzia alla lotteria. E’ seduto di fianco a Embiid che già pregusta di “rubare” la scelta dei Lakers. Sorride Magic (e non sarà l’ultima volta che a farne le spese sarà il centro dei 76ers): i Lakers vincono la lotteria, tenendosi la scelta #2.
Poco dopo, arriva la mossa più controversa (e forse difficile): il 20 giugno, con un colpo solo, Magic e Rob aggiungono una nuova scelta al draft, liberando spazio salariale per il 2018. Il prezzo pagato, però, è molto alto poiché insieme a Timofey Mozgov (e il suo pesantissimo contratto frutto della scellerata free agency 2016) a Brooklyn finisce il controverso, ma talentuoso D’Angelo Russell. Arrivano anche tante critiche. Tre giorni dopo, al Barclays Center di Brooklyn, il dipartimento scouting dei Lakers, guidato dall’Assistant General Manager e Director of Scouting, Jesse Buss piazza la serata perfetta. In un colpo solo il roster dei Lakers si arricchisce di Lonzo Ball, Kyle Kuzma e Josh Hart: tre rookie che, aggiunti a Brandon Ingram, formano il nuovo young core gialloviola. Dietro l’angolo c’è la free agency 2017: Magic e Pelinka, però, credono che sia importante preservare spazio salariale per il 2018 e così decidono di evitare contratti pluriennali. Dal mercato arriva il solo Kentavious Caldwell-Pope che, insieme a Brook Lopez, sarà un importante veterano da aggiungere ai ragazzi. La mossa, passata sottotraccia, è il primo importante contatto con l’entourage di LeBron James: KCP rappresenta il fine stratagemma per stringere i rapporti con Rich Paul e la Klutch Sports, l’agente e la società che gestiscono l’impero del Re.
La stagione 2017-18 è piacevole e molto diversa dalle precedenti. I ragazzi dei Lakers spingono la squadra che, in alcuni momenti dell’anno, è pure molto bella da vedere. Ci sono 9 vittorie in più rispetto all’anno prima e la sensazione di crescita è davvero evidente. Alla deadline dello scorso febbraio Jordan Clarkson e Larry Nance Jr. finiscono, non senza rimpianti, a Cleveland in cambio di Isaiah Thomas e Channing Frye, entrambi con contratti in scadenza ed una prima scelta. Dopo lo scambio il gm Rob Pelinka dirà che “il percorso che porta alla nascita di una grande squadra di successo, spesso è passato attraverso il giusto mix di flessibilità salariale e presenza nel roster di giovani forti. Queste saranno le risorse perfette per convincere i migliori giocatori della NBA a credere nel nostro progetto. Oggi noi più di ogni altra squadra abbiamo la struttura ideale per presentarci alla free agency 2018”. Così, con un mare di spazio salariale ed un core di giovani talenti ancora nei loro contratti da rookie, il front office si è tuffato nella missione più impossibile e complicata: convincere LeBron James, la star più grande della Lega, reduce dall’ottava finale consecutiva e dai migliori playoff della carriera, chiusi ad oltre 34 punti di media, a firmare per i Lakers. (Sono passati oltre 5 anni dall’ultima volta che a Los Angeles è arrivata una star NBA nel suo prime: era l’anno di Dwight Howard. Nel mezzo una serie infinita di delusioni: dagli incontri con Aldridge, a Carmelo Anthony, passando per l’addio dello stesso Howard e per il rifiuto di sedersi a parlare di Kevin Durant). Nel 2018, però, tutto cambia. La free agency inizia ufficialmente alle 21 di sabato 30 giugno. Dopo 5 minuti Magic arriva alla villa angelena di LeBron. I reports parlano di un meeting durato più di 3 ore. Per la prima volta, nella stessa stanza, siedono, insieme, Magic e Lebron. Basta poco per conoscersi, piacersi e convincersi. Il resto è storia recente: LeBron James è un Laker! Una nuova era è iniziata!
p.s. Caro Joel Embiid i Lakers ti hanno fregato. Un’altra volta.
(f.r.)