Probabilmente un anno fa nessuno avrebbe creduto mai in questo epilogo, che però già a novembre era iniziato a sembrare tutt’altro che fantascienza: Dwight Howard è andato via da Los Angeles, firmando a Houston il contratto che tutti noi speravamo firmasse con i Lakers.
Lo ha fatto rinunciando a tanti soldi, anche se in realtà rinuncia solo a un anno di contratto che i Rockets potranno poi allungargli nei prossimi anni. Perché è successo?
Premessa, fondamentale: l’8 dicembre 2011 abbiamo tutti avuto un momento di lucidità quando, nell’analizzare quanto successo, ci siamo detti che ci avevano fottuto il futuro per dieci anni. Vero, ci hanno fregato per bene e siamo stati vittime di un’ingiustizia clamorosa, e non ci siamo più ripresi. Ma se non ci siamo più ripresi, però, la colpa è la nostra.
I Lakers
Parliamo delle mosse degli ultimi dodici mesi, visto che analizziamo il Dwightgate, fermo restando che di errori ce ne sono stati anche prima. Dal momento dell’acquisizione di Howard, cosa ha fatto il nostro front office per assicurarsi la sua rifirma? Nulla. Cosa hanno fatto i leader della squadra? Nulla, potremmo arrivare a dire che è stato quasi ostracizzato tecnicamente.
Kupchack l’unica cosa che ha fatto è stato andare in televisione una volta al mese a dire che Howard era il nostro futuro, che contavamo su di lui e che sarebbe rimasto sicuramente secondo lui, magari aggiungendo la storia del soffitto con le maglie ritirate, dicendo che un giorno ci sarebbe stata anche la 12. Un po’ poco. È stato sbagliato il contesto tecnico da mettergli attorno, coach compreso, e si è reiterato l’errore a stagione finita, tenendo D’Antoni (insistendo nell’errore di un anno fa quando si è tenuto Brown nel quale non si credeva) e Gasol, nonostante sia palese che per la franchigia rappresentassero un valore pari a zero. I Lakers si sono presentati al meeting con Howard semplicemente con nulla in mano, e lo hanno fatto per propria volontà e onestamente sfugge il senso di questa mossa. Perché quantomeno non provare a cambiare il coach se proprio nella tua testa sei convinto, erroneamente, che Gasol è meglio mandarlo a scadenza?
Questo ha colpito della dirigenza dei Lakers: l’ignavia. Ci ha ucciso. Ovviamente si parla di dirigenza perché ogni mossa non sai quanto sia percentuale di Mitch o di Jim, per cui si assumano loro due le responsabilità assieme e basta.
Sul campo il discorso è stato lo stesso: tecnicamente (non mi permetto di entrare nel lato umano perché non so nulla e non posso giudicare) Howard è stato malvoluto da tutti i suoi compagni. Tante partite passate da quarta opzione offensiva, mentre gli si chiedeva di fare la differenza dietro, senza che ci fosse poi un sistema a esaltarne i pregi sia dietro che davanti. È chiaro che Bryant ha tante responsabilità in questo, perché Bryant è il leader tecnico e non solo di questa squadra. Ce lo siamo detti da novembre che non faceva nulla per coinvolgerlo, dichiarazioni di amore tutto l’anno per Pau che pure in campo andava peggio di Howard, mai una parola di incoraggiamento per il suo nuovo compagno, mai un passaggio in più o una pacca sulla spalla. Il compito di un leader è capire come sono fatti i suoi compagni, Bryant non ha capito, malafede o buonafede che fosse, che Howard andava spronato con l’entusiasmo, non con le reprimende. Il rapporto è migliorato con i mesi, è stato sotto gli occhi di tutti, al punto che è difficile credere che Howard sia andato via per Kobe; ma coinvolgerlo dal primo momento sarebbe stato utile per farlo sentire da subito a casa e più a suo agio.
In conclusione, l’impressione è che i Lakers abbiano fatto davvero poco, se non nulla, per trattenere qui Howard. E non si capisce il perché.
Howard
E Howard, invece? La logica conseguenza di tutto questo è che se ne sia andato, in barba ai trenta milioni, a Venice Beach, a Jack e a tutte le baggianate che ci raccontiamo ogni anno. Lui ha delle colpe? Sicuramente sì, anche lui. Le colpe non sono mai solo da una parte. Quelle dei Lakers le abbiamo dette e sono tante, la maggior parte, ma anche lui ha sbagliato.
Innanzitutto ha avuto un atteggiamento spesso immaturo, viziato, sempre pronto a lamentarsi quando le cose non andavano, ma poco disposto a mettersi sotto a lavorare per far sì che cambiassero, come una stella di prima grandezza dovrebbe fare, come dovrebbe fare un giocatore del calibro del quale lui vuole essere considerato. Si è trovato male con i coach, si è trovato male con Kobe, si è trovato male con Pau, si è trovato male con Nash. Insomma si è trovato male con tutti, ma non può essere sempre e solo colpa degli altri. Spesso lo abbiamo visto in campo con gli atteggiamenti del peggior Shaq, per tutto l’anno lo abbiamo visto non lavorare sui suoi difetti, pur con la scusante degli infortuni che sicuramente ha influito nella sua testa.
L’impressione è che scappi, oltre che per il contesto tecnico (scelta per la quale nessuno lo biasima, visto quanto elencato nel precedente paragrafo), anche per una certa incapacità di gestire gli standard altissimi che ti richiede il giocare per i Los Angeles Lakers, in campo e in allenamento. Questi standard li detta Kobe, non c’è dubbio, ma li detta anche la storia della franchigia. Nessuna star, anche molto più grande di Howard, si è mai permessa di non dare il 110% per dimostrare il proprio valore e vincere, nessuna si è mai permessa di non rimettersi in discussione una volta arrivata nell’empireo del gioco. Howard questo non lo ha accettato, non lo ha sopportato ed è scappato verso una squadra senza, nella sua visione, un rompicoglioni come Bryant, un pubblico esigente e uno standard di pallacanestro che ti richiede il top sempre e comunque, nel quale assumerti delle responsabilità. Sceglie Houston, piena di ragazzi della sua età, dove lo raggiunge il suo amico di infanzia e dove sorridere dalla mattina alla sera non sarà un problema, nessuno lo giudicherà per questo. Attenzione, però: anche Magic sorrideva dalla mattina alla sera, ma dalla mattina alla sera lasciava anche tutto quello che aveva in campo, sia in allenamento che in partita. Lo stesso Gasol, dopo il primo anno, i rimbrotti di Bryant anche pubblici se li è presi tutti, ma si è messo sotto, purtroppo guadagnandosi un rispetto verso il 24 che oramai ha strabordato, che gli consente di fare ogni porco comodo tra dichiarazioni e prestazioni oscene e che ci rende ostaggio di questa amicizia, vista la debolezza della dirigenza.
Insomma neanche Howard si è mai messo con tutti i sentimenti per diventare uomo franchigia, pur lamentandosi e facendo richieste su chi dovesse allenare; sicuramente poteva comportarsi meglio anche lui. Ma dobbiamo capire che la Nba, il mondo, sono cambiati e non esistono più le stelle che prima di lamentarsi provano comunque a dare tutto e di più, e poi in caso pensano a rimostranze e a cambiare aria. Stupidi i Lakers che ancora non si adeguano.
Ciò che veramente però ha dato fastidio è come Howard ha trattato i Lakers e i suoi tifosi in questo teatrino che neanche definire stucchevole riuscirebbe a rendere l’idea di quanto sia stato di cattivo gusto. La franchigia e i tifosi non meritavano di essere trattati al pari dei Mavs o degli Hawks, e per questo in California sei il nuovo nemico pubblico, almeno per quanto riguarda chi sta scrivendo.
Il futuro
Il futuro non è roseo, mi pare pacifico più dell’oceano sul quale si affaccia Los Angeles, ma con abilità si può provare a risalire prima di quanto si creda. Il problema è avere queste abilità e soprattutto i strumenti per poterle mettere in pratica.
Guardando oggi all’organizzazione della franchigia, vediamo una rozza gestione famigliare con tanto di beghe tra fratelli, non degna degli elevati standard dello sport pro americano, meno che mai di una squadra storica come i Lakers. Lo scouting è a livelli penosi, lo staff medico è risibile, la gestione sportiva della franchigia in mano a non si sa bene chi. Se le cose rimangono queste, inutile sperare in un buon futuro. Per questo con Howard perdiamo tanto: pur con tutta la provincialità della nostra gestione, sarebbe bastato presentarsi con il 12 per attrarre un all star la prossima estate. Ora giù le maschere, bisogna ricostruire tutto, non ci si può più nascondere dietro le star, le spiagge e i fuoriclasse in campo. E bisogna avere coraggio.
Bisogna avere il coraggio di capire che non possiamo essere competitivi la prossima stagione, di conseguenza bisogna avere il coraggio di prendere scelte che vadano in direzione futura, non si può ogni volta programmare una singola stagione senza pensare al quadro complessivo, con il fatto che bisogna giustificare i prezzi alti dei biglietti. La cosa peggiore da fare in questo momento sarebbe farsi prendere dalla frenesia dovuta alla scelta di Howard e riempirsi di contratti pluriennali per costruire una squadra che ti arriva alle 40W per tre stagioni in fila. Bisogna, nelle nostre condizioni attuali, mettere una croce enorme sulla prossima stagione per poter ripartire dalla prossima estate, dove ci saranno molti free agent interessanti (usciranno dai contratti, usciranno), provando contestualmente a scegliere il più alto possibile in un draft molto profondo. Non giochiamoci l’unica possibilità di futuro per farcelo buttare in quel posto dall’orgoglio, tanto per citare Pulp Fiction. Bisogna rendersi conto che le cose sono cambiate, come già detto, è accaduto un fatto storico: nessun free agent all star ci aveva mai abbandonato così; se è successo oggi ci sono dei motivi ben precisi che il front office non può ignorare. Finché la struttura manageriale resterà questa, con delle risorse umane ai minimi termini e pianificazione inesistente, nessuna strategia potrà mai funzionare, neanche il tanking selvaggio e il cap più vuoto del mondo.
Ieri è stata una pagina dura, inutile negarlo, la prossima sarà una stagione molto brutta, bisogna esserne consapevoli. Si può risorgere ma bisogna cambiare, non è più la Nba del Dottore. Non dobbiamo fare delle cose sconvolgenti e assurde, ma solo programmare e organizzare con raziocinio. Sperando lo capiscano anche a El Segundo, sempre forza Lakers.
p.s.
lo scorso ottobre, dopo lo scambio di Harden, il Dgen scriveva su fb: grazie ai Thunder che si autoeliminano dalla corsa al titolo, spianandoci la strada per le finali. Ovviamente i Thunder sono rimasti meglio di noi, in più con quella mossa hanno segnato, inconsapevolmente, l’inizio della nostra fine rendendo Houston appetibile. Come al solito Federi’, non perdi mai occasione per non far sbattere le dita sulla tastiera.
Sempre tuo, in amicizia
Alan