Sono passati quasi dieci giorni dall’eliminazione dei Los Angeles Lakers dai Playoffs, da quella Gara 5 persa ad Oklahoma City che ha sancito il termine della stagione gialloviola.
Dopo i normali giorni di ‘stacco’, è giunta l’ora di fare un’analisi, di entrare maggiormente dentro il futuro della franchigia californiana e di provare ad indovinare cosa potrà accadere.
Iniziamo col dire una cosa. La situazione è complessa. Complessa finanziariamente, mentalmente, tecnicamente. Il front-office gialloviola è costantemente di fronte ad una situazione di “vorrei, ma non posso”. La sensazione è che Mitch Kupchak abbia davvero le mani legate, sotto tanti punti di vista e da tanti fattori. Tanto più ora, nel momento in cui sembra che molti giocatori snobbino i Lakers come piazza e come possibile squadra per vincere.
Ma andiamo con ordine. E partiamo dal Payroll, ovvero partiamo dalla fitta più lancinante per le sorti del futuro dei Los Angeles Lakers: terzo più alto della Lega, dietro solo a quello dei Boston Celtics e degli Orlando Magic. Contenuta la Mid Level a disposizione per la Free Agency, poche le alternative per un salary cap che è enorme, bloccato da contratti come quello di Kobe Bryant (27 milioni, in crescendo fino ai 30), Pau Gasol (18) ed Andrew Bynum (16). Questi tre guadagnano più dell’intero roster dei Toronto Raptors (!).
Ora, partendo dal presupposto che con l’esplosione tecnica di Andrew Bynum il progetto ‘Twin Towers’ è miseramente fallito sul campo, uno dei due dovrà lasciare le spiagge di Santa Monica.
Gli scenari, anche con un po’ di fantasia, possono essere decine e decine.
Partiamo da Pau Gasol: il Catalano ha sostanzialmente avuto le valige pronte in casa Lakers per mesi e mesi. Nonostante l’egregio comportamento professionale da parte del ragazzone venuto a far fortuna dalla Spagna e nonostante abbia costruito un piccolo pezzo di storia ad L.A., la volontà della dirigenza è apparsa chiara sin da subito, quando lo scorso dicembre era sostanzialmente stato mandato a Houston. Da allora, Pau non è stato più se stesso, non ha più saputo incidere, complice anche il fatto che Bynum l’ha spesso sovrastato, per applicazione e maggiore incisività sul parquet. Il suo contratto scade nel 2013/14 e recita, come ricordato sopra, 18 milioni a stagione. Per come è stato sfruttato e, a malincuore, forse per quello che può ancora dare a questa franchigia attualmente, non può valerli. E allora, via con le Fanta-Trades: scambiato per Lowry e Scola a Houston, mandato a Chicago in cambio di Carlos Boozer e un paio di tiratori, impacchettato a Minneapolis per una base giovane da cui ripartire, tradato per un’altra stella.
Continuiamo con Andrew Bynum: era decisamente la stagione di non ritorno per lui, era quella in cui doveva dimostrare di essere all’altezza di questa franchigia. Risultato? Eh, il bambinone del New Jersey ci lascia senza. Tecnicamente è finalmente sbocciato, dimostrando che cosa è capace di fare su quel parquet con continuità, facendo vedere quanti e quali miglioramenti ci siano stati difensivamente e smentendo molti che lo paragonavano ad un Emeka Okafor qualsiasi. Ma la testa si è rivelata quella che è e forse in questa stagione si è potuta notare la sua enorme complessità. Quindi, che si fa? La prima cosa che viene in mente è quella di andare a vedere le opzioni del suo contratto: 16 milioni in scadenza, ma una ‘Team Option’ per la dirigenza gialloviola. E allora via anche qui con la fantasia: scambiato a gennaio come un Kwame Brown qualsiasi sfruttando il suo contrattone, rinnovo e ‘Team Option’ da sfruttare per poter decidere il suo futuro, trade immediata per un’altra stella, rinnovo e fiducia cieca su di lui per il futuro.
Sempre tenendo conto, che ci sarà anche da affrontare la situazione contrattuale di quel primo nome elencato; quel Kobe Bryant che ha chiuso una stagione monstre per avere 34 anni e tutto quel kmtraggio fisico ed atletico. Sarà un fattore importante il suo rinnovo, non certo per decidere le sue sorti (scontate), quanto per decidere i suoi “numeri”: oltre i 30 milioni l’anno che percepirà nel 2013/14 è impossibile andare, dunque c’è da vedere quale sarà il ridimensionamento del suo contratto e quali condizioni e termini Kobe accetterà.
Ma non è chiaramente finita qui. La telenovela cestistica chiamata Los Angeles Lakers ripropone il problema in playmaking e la difficile gestione dell’Amnesty.
Capitolo play: il Ramon Sessions del 2012 non è chiaramente all’altezza dei Playoffs Nba, perlomeno oltre il primo turno. Ma una base per dei miglioramenti c’è ed è bella ampia. Certamente, l’impianto di gioco deve cambiare. Non si può sperare che Sessions sia il sistema, che crei gioco come un Paul o un Deron Williams. Deve essere creato un qualcosa che lo faccia rendere e che gli permetta di far valere le sue qualità. Alle attuali condizioni, sia per i Lakers sia per lo stesso giocatore, non vale la pena continuare un percorso assieme, a livello puramente tecnico.
Certo, dal punto di vista salariale, i gialloviola non hanno alternativa: devono solamente sperare che Sessions non faccia valere la ‘Player Option’ sul suo contratto. Non ci sono i soldi, i margini e gli estremi per trovare un nuovo play, almeno nella Free Agency.
Capitolo Amnesty: i Lakers non l’hanno sfruttata/sprecata, come altre squadre Nba. Ora però sorge il problema su chi applicarla. I due papabili sembrano essere Steve Blake e Metta World Peace. Beh, tecnicamente non ci sarebbe partita, visto come il secondo si sia dimostrato il vero ago della bilancia del roster, difensivamente. Ma come contratto potrebbe prevalere il primo, che infatti è in scadenza proprio nella prossima stagione e con i suoi 4 milioni si rivelerebbe appetibile in ottica trade.
Già che ci siamo, andiamo nel dettaglio della testa: qui Metta World Peace non ha propriamente mostrato solidità, ricordando la poco strategica gomitata ai danni di Harden, che gli è costata tutto il primo turno Playoffs. Quest’anno, il titolo non era nelle corde della squadra gialloviola, ma se l’anno fosse stato buono? Quel gestaccio avrebbe inciso e non poco.
Per concludere, è giusto parlare di Michael ‘Mike’ Brown, il “coach” dei Los Angeles Lakers.
Lo sarà anche il prossimo anno, è evidente. Così come in questa stagione è stata evidente l’inadeguatezza di quest’uomo su una panchina di una franchigia così ‘pesante’.
Non ha avuto la squadra dei suoi sogni, è vero. Ma di quella che ha avuto in mano ha capito poco o nulla. Talvolta la sensazione, ciò che ha trasmesso, è che si chiedesse: “Ma sto davvero allenando i Lakers?”.
Tre buone partite preparate contro Oklahoma City, dunque, non cambiano una stagione che l’ha visto protagonista in negativo in tante, troppe situazioni (evitiamo di ricordare nel dettaglio, il caso Goudelock, per dirne una).
L’onestà intellettuale vorrebbe che gli si desse un’altra possibilità, con la sua squadra e i suoi uomini.
La logica, forse, voleva che non venisse nemmeno scelto per un ruolo di questo tipo; ma forse, ora, è troppo tardi (o troppo presto) anche per licenziarlo, perché vorrebbe dire smentire tutte le scelte fatte sin qui dal front-office dei Lakers.
Del resto, come dicevamo all’inizio? Vorrei, ma non posso…
D.M.