Alle ore 23:30 di Domenica 11 Novembre, orario della costa Ovest, Mike D’Antoni è ufficialmente diventato il capo allenatore dei Los Angeles Lakers.
Il contratto prevede un triennale da 12 milioni di $, con una team option per il quarto anno. La scelta del “Baffo” è stata presa all’unanimità dalla triade Buss padre-Buss figlio-Kupchack, giungendo a sorpresa nella notte dopo che si erano rincorse voci molto insistenti sul ritorno di mister “11 anelli” Phil Jackson. Tuttavia, coach Zen e la sua Triple Post Offense sono stati giudicati inadatti ad essere introdotti a stagione già iniziata in una squadra che non conosce il sistema e che ha già avuto difficoltà ad assimilare la Princeton.
Si è dunque deciso di virare verso l’italo-americano, già allenatore di Suns e Knicks dal 2003 al 2012. Nel suo palmares, oltre a 2 scudetti, 1 Supercoppa ed una Coppia Italia con la Benetton Treiso, c’è anche un premio di Coach of the Year nel 2005 (4 anni prima di Mike Brown) e una partecipazione all’ASG come coach della Western Conference nel 2007.
Quale sarà l’impatto di Mike D’Antoni sui Lakers?
Il pensiero va subito a Steve Nash. Dopo una pre-season e una partita e mezza in stagione in cui la sensazione era di vederlo ingabbiato in un sistema troppo diverso da quelli in cui aveva dominato l’attacco delle sue squadre per tutto il decennio passato, ritrovare D’Antoni sarà per lui un grande stimolo e al tempo stesso un notevole cambiamento. Le chiavi della squadra gli saranno progressivamente consegnate, i ritmi si alzeranno, anche senza dover necessariamente arrivare all’estremo della 7 seconds or less, o run and gun, e dei ritmi folli che quei Suns tenevano. Potrà quindi esprimersi meglio per quelle che sono le sue straordinarie qualità in playmaking, e tanti suoi compagni (Meeks, Hill, Ebanks) potrebbero migliorare le loro prestazioni giocando più spesso in campo aperto.
A beneficiare sarà senz’altro anche Dwight Howard. Unanimemente considerato il centro atleticamente più forte della lega, Howard potrà correre e attaccare più spesso a difesa non ancora schierata, laddove finora il 90% delle sue ricezioni sono state statiche e in post basso. Ci attendiamo anche molti pick and roll a coinvolgerlo, anche e sopratutto in transizione, un’arma poco sfruttata da Mike Brown.
Emergerà come elemento importante nella 2nd unit Antawn Jamison, il cui utilzzo da parte della precedente gestione è stato pessimo. Costretto ad essere schierato da ala piccola, un ruolo che non ricopriva dai tempi del college, ora potrà tornare ad essere un lungo perimetrale, potendo sfruttare meglio gli spazi in area e senza dover essere per forza solo uno spot-up shooter. Sta a lui dimostrare di poter essere un giocatore degno di una contender, ora non ha scusanti.
E Kobe? Lui si dichiara entusiasta della firma di D’Antoni (“Amo Phil Jackson, ma sono molto eccitato dall’arrivo di Mike”), e da un lato un graduale passaggio di consegne nelle mani di Nash non potrà che fargli bene, permettendogli una gestione fisica e tecnica più controllata. Proprio per la gestione fisica però andrà valutato come risponderà all’aumento dei ritmi e della velocità, nella speranza che il suo corpo 34enne non ne soffra troppo.
A fronte di questi aspetti positivi, vanno però aggiunti alcuni fattori di difficile interpretazione.
Anzitutto le due torri. E’ evidente come la convivenza Gasol-Howard, già complicata in un regime di ritmi bassi e attacco a metà campo, diventa ingestibile in un contesto D’Antoniano. Il catalano è l’ovvio predestinato per una trade, ma trovare uno o più giocatori in cambio sarà impresa difficile. Ora come ora infatti è un giocatore con poco mercato, fisicamente non più verde, con un contratto gigantesco (38 in 2 anni) ancora meno appetibile dopo la firma del nuovo CBA; e non ci aspettiamo di certo una fila di squadre disposte a rinforzare una squadra già molto forte e non particolarmente amata dai proprietari delle altre franchigie. Molti dei giudizi sulla gestione D’Antoni passeranno quindi da questa ipotetica trade e dal roster che da questa nascerà.
Se nulla dovesse accadere sul mercato, il rischio di rivedere i grossi problemi visti con gli ultimi Knicks sarà concreto. La sua sostituzione con Woodson a New York derivò in sostanza dall’incapacità di saper mettere in campo un roster che, con l’arrivo di Melo, era diventato improvvisamente poco adatto per lo stile di gioco prediletto dall’ex trevigiano. La gestione di Anthony-Stoudemire (più Chandler) divenne presto un enigma irrisolvibile: da un lato per valorizzare Melo si rinunciò al run&gun, dall’altro l’attacco a metà campo risultò essere troppo farraginoso e improduttivo, e non adeguatamente supportato da una difesa porosa.
Dopo il fallimento nella gestione di quei Knicks, come andranno le cose con i Lakers delle due torri, di Bryant e World Peace?
Altra questione è la gestione dei minutaggi. Il Baffo ha sempre avuto una preferenza per rotazioni ristrette a 7-8 uomini. Una squadra dalletà media avanzata come i Lakers non possono essere gestiti alla stessa maniera, tanto più se il numero di possessi a partita aumenterà sensibilmente.
Insomma, al netto dell’eventuale cessione di Gasol in seno alla quale occorrerà rivalutare tutto quanto, l’arrivo di Mike D’Antoni è segnato da un moderato entusiasmo ma da alcune perplessità. Sarà difficile far peggio della fallimentare gestione Brown, ma la strada che porta al titolo è ancora molto lunga, e passerà dalla capacità di adattamento della squadra all’allenatore e viceversa.
Comunque sia, gli diamo il benvenuto e gli facciamo il nostro In bocca al lupo. Come sempre, go Lakers!
g.m.