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A me Berlusconi non piace, ma un minimo di persecuzione mi sa che c'è davvero... Se continuano così lo voto. Giuro.   Va bene che è un politico poco risolutivo e che non ha fatto tutto quello che g

Allora mettiamo qualche puntino sulle i perché sinceramente mi sono rotto di assistere a continui ribaltamenti della realtà.   La discussione è partita as usual tra me e Keitaro. Io dicevo di esse

Abbiamo smacchiato il giaguaro :D

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Putroppo, la Politica italiana è qualcosa di quanto più lontano (fatto salve i Regimi) possa esserci da uno strumento che dovrebbe essere al servizio del Paese.

 

Per esperienze personali ho avuto a che fare con i colori più disparati, da all'epoca Fronte della Gioventù alla Sinistra Universitaria, ma in tutti i casi, chi espone idee che vadano aldilà della mera propaganda o dell'interesse di pochi, viene etichettato come fascista o stalinista, a seconda da chi parte l'epiteto.

 

Penso che ci voglia una rivoluzione sociale e culturale, evitare le futili contrapposizioni e badare dritti al sodo, ma ahimé è una triste utopia dato che per fare ciò occorre mettere in discussione i privilegi di pochi, che fanno quei mestieri solo per quei privilegi.

 

Sembrerà qualunquista o demagogia, ma non vedo strade diverse da quelle dell'arretramento continuo.

 

In un paese in cui ci sono più macchine da 100.000 euro che persone che ne dichiarano 30.000, dove vogliamo andare?

 

Scusate lo sfogo va...

 

:piantoacatinelle

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Due articoli decisamente interessanti sul tema federalistico

 

Federalismo che bluff

di Massimo Cacciari

Con i governi leghisti nessun beneficio è venuto a Regioni e Comuni del Nord

(10 maggio 2010)

Nessun termine è stato in questi anni più umiliato e offeso dalla politica di 'federalismo'. Dopo una stagione, gli anni '90 del 'secolo breve', in cui la scena è stata condivisa tra chi lo intendeva come semplice 'decentramento' e chi lo propagandava come cavallo di Troia per micro-nazionalismi privi di ogni radice storica, oggi la pratica politica procede sempre più in una direzione che è l'esatto contrario di ogni promozione di autonomia, sussidiarietà, partecipazione. Proporzionalità inversa tra l'universale chiacchiera sul federalismo e i duri fatti della politica quotidiana. È questa la norma da 15 anni a questa parte. Peggio, si giunge perfino a criticare giustamente quella riduzione di federalismo a decentramento amministrativo, per andare anche su questo terreno a pratiche neo-centraliste. E nulla cambia, anzi: tutto peggiora, quando il 'centro' da uno si moltiplica per il numero delle Regioni, e mettiamoci pure delle Provincie, che, alla faccia dei 'federalisti' che ne invocavano l'abolizione, sono aumentate di numero e poteri.

 

Ma tutto, si narra, verrà risolto con le riforme di cui è gravida questa legislatura, e in particolarissimo modo col 'federalismo fiscale'. Lo slogan è certo buono: è evidente come non sia sostenibile uno squilibrio così impressionante tra i territori (anche all'interno del Nord!) nel dare e avere. È evidente come una così pessima distribuzione delle risorse penalizzi non solo le Regioni più ricche, ma tutto il Paese. Tutto giusto; peccato non si dica una parola sulle Regioni a statuto speciale, sulla sede dove affrontare e decidere le necessarie misure di solidarietà (senza le quali federalismo diviene l'opposto di foedus, di accordo, di patto, e si trasforma in una competizione anarchica tra diversi territori), su come distribuire, a questo punto, lo stesso onere del debito nazionale. Peccato, poi, non si veda, insieme a quello fiscale, anche l'aspetto demaniale. È tollerabile il persistere d'immense manomorte demaniali, civili e militari, in ogni città e angolo del Paese? Patrimoni che nessuno valorizza, o usati per costruirci aeroporti militari, come a Vicenza? Per rispondere alle prime domande rimane necessaria una vera e propria riforma costituzionale (istituzione di una Camera delle Autonomie; revisione radicale degli articoli riguardanti le competenze tra Stato, Regione e Comune), ma per la seconda basterebbe quella volontà politica, che non esiste.

 

E tuttavia federalismo non è affatto nella sua essenza fiscale-demaniale. Non è affatto questione di 'schei' o patrimoni, come piace di far credere a impenitenti statolatri. Ancor meno è rivendicazione egoistica per maggiori trasferimenti da parte di Regioni e Enti Locali. Il federalista non chiede benevole concessioni. Esige, invece, poteri effettivi e conseguenti piene responsabilità. È su questo terreno che il federalismo italiano ha fatto finora bancarotta: nel tentare, almeno, di armonizzare rappresentatività, responsabilità e poteri. Il principio-base del federalismo afferma che il potere politico deve articolarsi in una pluralità di centri, ognuno davvero autonomo, e cioè non derivato, avente in sé la fonte della propria legittimità, al fine di svolgere efficacemente funzioni specifiche, su materie dove non abbia altri 'concorrenti'. Di questo principio è stato fatto, e si continua a fare, semplicemente strame. A partire dalle modifiche del testo costituzionale, delle quali basterebbe la qualità letteraria a spiegarci dove siamo caduti rispetto ai Padri del '48.

 

All'Ente Locale è stata via via sottratta o limitata ogni autonomia impositiva, fino alla aberrazione totale della 'nazionalizzazione' dell'Ici; il rifiuto di istituire la possibilità di tasse di scopo, le assurde regole in materia di applicazione del patto di stabilità (per cui un Comune è bloccato anche nella spesa di risorse acquisite con la dismissione di propri cespiti); per non parlare delle norme nazional-giacobine che dettano ogni manovra nell'organizzazione delle risorse professionali interne (i Comuni non hanno voce in capitolo nella definizione dei contratti di lavoro), completano il desolante quadro.

Ma sono forse aumentati nel frattempo i poteri dell'Ente Locale nelle materie tradizionalmente di sua più stretta competenza? Esattamente l'opposto. Non vi è aspetto dei piani urbanistici, di mobilità, per la casa, ecc. dove un Comune non debba andare ai ferri corti con Ministeri, Regioni e Province.

 

Il guasto di questa situazione non è economico, è sociale e culturale. Essa de-responsabilizza, premia quelle istituzioni 'specializzate' nel distribuire e non nel 'conquistare' risorse, massacra il principio fondamentale del nesso tra rappresentatività e tassazione. E così procedendo moltiplica localismi, egoismi, risentimenti, frustrazione. Essa è il frutto di una cultura politica mille leghe lontana da ogni autentica idea federalista. Alla faccia dei Trentin, degli Spinelli, ma anche degli Einaudi, degli Sturzo, ma anche dei Miglio. Nella Lega 'di lotta e di governo' la componente ideologico-identitaria è ormai prevalente su ogni forma di 'sindacato di territorio', e ciò spiega perché nessuna denuncia del fatto che anche durante i governi a partecipazione leghista nessun beneficio sia venuto per Regioni e Comuni del Nord non provochi alcuna crisi nel suo corpo elettorale. Il federalismo funziona da 'sol dell'avvenire' e intanto, nel suo triste presente, annaspa il fondamento stesso della vita e della cultura del Paese, come tutti i grandi storici hanno sempre riconosciuto: la città - la città italiana, città-regione, città-territorio, individualità universale.

 

Talk show federalismo

Massimo Cacciari

Tutti ne parlano ma non c'è una classe politica decisa e capace di realizzarlo davvero

(07 luglio 2010)

Tremonti ha preso in mano la bandiera del federalismo e presentata una relazione che più creativa non si può. Metodi, tabelle con cifre inverificabili, paradossali calcoli a base di promesse e slogan. Ma ciò che conta è che la bandiera sventoli sul Carroccio, come novello sol dell'avvenire. Tanto, dall'altra parte, mica ci sono sul tavolo proposte federalistiche credibili, o uno straccio di discussione e mobilitazione sul tema. Soltanto, quando va bene, la critica degli aspetti più indigeribili della pseudo-manovra governativa. E col sottinteso più o meno trasparente che di federalismo tout court meglio è tacere.

 

Perché? Perché nessuno in Italia è oggi in grado di affrontare con realismo e coerenza la ricostruzione federalistica del nostro Stato. Ci si aspettava che la relazione tremontiana fornisse almeno quattro dati a proposito di "federalismo fiscale", ma l'unica cosa relativamente concreta riguarda la fissazione di alcuni costi standard.

 

E la causa è chiara: di "federalismo fiscale" ha infatti senso discutere se si intende porre mano all'inaudita e devastante sperequazione tra le Regioni nella quota di gettito impositivo che esse "trattengono".

 

E sarebbe interessante chiedere alla Lega, che governa da anni in Lombardia e in Veneto e a Roma, come mai proprio le "sue" Regioni abbiano visto ulteriormente cadere le risorse loro "concesse" dall'odiata capitale.

 

Il problema non può essere affrontato seriamente per la semplice ragione che o lo Stato rinuncia a importanti entrate - oppure sarebbe necessario "premiare" gli attuali "virtuosi" togliendo quattrini a quelle Regioni che contribuiscono alla fiscalità generale a volte enormemente meno di quanto ottengano in trasferimenti. Ipotesi socio-politicamente impraticabili entrambe. E allora chiacchieriamone!

 

Più utile sarebbe discutere di Ente Locale, la vittima sacrificale di questa e delle passate manovre. Tremonti annuncia che finalmente l'imposta sulla casa sarà competenza del Comune. Tuttavia la sua quota più importante, quella sulla prima casa, viene soppressa definitivamente per decreto dello Stato. Per non aggiungere che a nessun Comune italiano essa è stata rimborsata per intero, come era nelle promesse. Ma, si dice, i Comuni potranno accorpare vari balzelli e tariffe. Come se da questi interventi potessero venire aumenti di entrate! Avverrà l'opposto. Ma chi ha governato una città tra i grandi capi? E le tasse di scopo dove sono finite? Della possibilità per i Comuni di rivolgersi ai propri cittadini per opere significative, oppure, come nel caso delle città d'arte, per istituire tasse di soggiorno, come avviene in molti altri paesi, non c'è alcuna traccia.

 

Troppo facile prevedere che il welfare municipale entrerà in crisi sia per effetto della situazione economica che dell'invecchiamento della popolazione. Dove sarebbe da ridistribuire (vedi Regioni) non si può; dove sarebbe da tagliare davvero (vedi Provincie) non si può; dove sarebbe da risparmiare (vedi Città metropolitane) non si può.

 

Ma perché? Perché il problema è istituzionale-costituzionale e tutto politico. Perché nuovi rapporti inter-regionali sul piano finanziario-fiscale presuppongono una sede parlamentare che abbia come propria "missione" il decidere in materia, e cioè un Senato delle Regioni e delle Autonomie. E altrettanto vale per l'abolizione delle Provincie e la formazione di vere Città metropolitane. Per non parlare della esigenza di ridurre il numero delle Regioni.

 

Riforme di questa portata non possono avvenire a spezzatino, a colpi di maggioranza, senza disegno politico-culturale. L'Europa sarà pure iniziata da carbone e acciaio, ma i grandi mitteleuropei, Schuman, Adenauer, De Gasperi, che quell'inizio hanno segnato, esprimevano una visione e una volontà costituente, si muovevano nel senso di un nuovo patto tra le nazioni europee. Questo significa federalismo, e nulla di questo è oggi in circolazione.

 

Chi ne fa ideologia di partito, chi lo derubrica a calcolo economico (costa? Non costa? Ma certo che costa, se tutto deve restare com'è e le Regioni del Nord - solo le Regioni per carità! I Comuni crepino pure - devono ottenere di più), chi invece a mero decentramento.

 

Nessuno pretende che i nostri amici leggano i classici del pensiero federalistico ma la consapevolezza che il federalismo è una categoria di "sistema" e la sua realizzazione implica trasformazioni costituzionali, questa sì occorrerebbe vi fosse. Ma essa, a sua volta, presuppone una classe politica che abbia l'ambizione di aprire una fase costituente, di procedere alla definizione di una nuovo patto fondamentale. Questa classe politica non c'è, questa volontà comune manca. E forse soltanto "catastroficamente" potrà avvenire il mutamento di stato... Tremonti ha preso in mano la bandiera del federalismo e presentata una relazione che più creativa non si può. Metodi, tabelle con cifre inverificabili, paradossali calcoli a base di promesse e slogan. Ma ciò che conta è che la bandiera sventoli sul Carroccio, come novello sol dell'avvenire. Tanto, dall'altra parte, mica ci sono sul tavolo proposte federalistiche credibili, o uno straccio di discussione e mobilitazione sul tema. Soltanto, quando va bene, la critica degli aspetti più indigeribili della pseudo-manovra governativa. E col sottinteso più o meno trasparente che di federalismo tout court meglio è tacere.

 

Perché? Perché nessuno in Italia è oggi in grado di affrontare con realismo e coerenza la ricostruzione federalistica del nostro Stato. Ci si aspettava che la relazione tremontiana fornisse almeno quattro dati a proposito di "federalismo fiscale", ma l'unica cosa relativamente concreta riguarda la fissazione di alcuni costi standard.

 

E la causa è chiara: di "federalismo fiscale" ha infatti senso discutere se si intende porre mano all'inaudita e devastante sperequazione tra le Regioni nella quota di gettito impositivo che esse "trattengono".

 

E sarebbe interessante chiedere alla Lega, che governa da anni in Lombardia e in Veneto e a Roma, come mai proprio le "sue" Regioni abbiano visto ulteriormente cadere le risorse loro "concesse" dall'odiata capitale.

 

Il problema non può essere affrontato seriamente per la semplice ragione che o lo Stato rinuncia a importanti entrate - oppure sarebbe necessario "premiare" gli attuali "virtuosi" togliendo quattrini a quelle Regioni che contribuiscono alla fiscalità generale a volte enormemente meno di quanto ottengano in trasferimenti. Ipotesi socio-politicamente impraticabili entrambe. E allora chiacchieriamone!

 

Più utile sarebbe discutere di Ente Locale, la vittima sacrificale di questa e delle passate manovre. Tremonti annuncia che finalmente l'imposta sulla casa sarà competenza del Comune. Tuttavia la sua quota più importante, quella sulla prima casa, viene soppressa definitivamente per decreto dello Stato. Per non aggiungere che a nessun Comune italiano essa è stata rimborsata per intero, come era nelle promesse. Ma, si dice, i Comuni potranno accorpare vari balzelli e tariffe. Come se da questi interventi potessero venire aumenti di entrate! Avverrà l'opposto. Ma chi ha governato una città tra i grandi capi? E le tasse di scopo dove sono finite? Della possibilità per i Comuni di rivolgersi ai propri cittadini per opere significative, oppure, come nel caso delle città d'arte, per istituire tasse di soggiorno, come avviene in molti altri paesi, non c'è alcuna traccia.

 

Troppo facile prevedere che il welfare municipale entrerà in crisi sia per effetto della situazione economica che dell'invecchiamento della popolazione. Dove sarebbe da ridistribuire (vedi Regioni) non si può; dove sarebbe da tagliare davvero (vedi Provincie) non si può; dove sarebbe da risparmiare (vedi Città metropolitane) non si può.

 

Ma perché? Perché il problema è istituzionale-costituzionale e tutto politico. Perché nuovi rapporti inter-regionali sul piano finanziario-fiscale presuppongono una sede parlamentare che abbia come propria "missione" il decidere in materia, e cioè un Senato delle Regioni e delle Autonomie. E altrettanto vale per l'abolizione delle Provincie e la formazione di vere Città metropolitane. Per non parlare della esigenza di ridurre il numero delle Regioni.

 

http://espresso.repubblica.it/lista/opinioni/massimocacciari

 

Commento solo quanto grassettato: l'esigenza di ridurre il numero di Regioni è dovuta essenzialmente alla necessità di garantire una base imponibile (leggi popolazione) adeguata alla copertura delle spese...

A titolo d'esempio, Regioni come Liguria e Valle d'Aosta non avrebbero modo di autosostenersi; una Regione del Nord Ovest (Liguria, Piemonte e Valle d'Aosta) sì... e così via... Regione del Nord Est (FVG, Trentino Alto Adige e Veneto); Lombardia; Regione appenninica (Emilia Romagna e Toscana); Regione centrale (Lazio, Marche e Umbria); Regione meridionale (Basilicata, Calabria e Puglia) e una Regione insulare (Sardegna e Sicilia) potrebbero contare tutte su almeno 6 milioni di abitanti.

La realizzazione delle aree metropolitane risulta imprescindibile per l'evidenza di quanto esse clamorosamente si discostino dalla realtà comunale (Al 2009 i comuni con meno di 5.000 abitanti sono 5.703, ovvero il 71% del totale nazionale. In questi comuni risiede il 18% delle popolazione italiana. Nella dozzina di comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti (lo 0,1%) risiedono il 15% degli italiani)... altra esigenza sarebbe la fusione dei comuni montani in realtà più grandi; in un caso e nell'altro si può prevedere la permanenza di municipi (o circoscrizioni) come sedi amministrative decentrate.

Sull'utilità della Provincia stendo un velo pietoso...

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[...] La sua cultura, la sua forma mentis, il suo stesso stile appartengono inesorabilmente a un mondo di ieri, a paradigmi politici sclerotizzati nelle arcaiche dicotomie destra-sinistra, a un gusto strapaese fatto di barzellette, sport e avventure galanti. L'immagine dell'Auctor si corrode ogni giorno di più. Non dovrebbero occorrere Bruti e Cassi per tirare il sipario. Forse basterebbe un'intelligente opposizione, capace di manovrare con tempestività, di indicare alcuni obiettivi propri, autonomi rispetto all'agenda dettata dal re ormai seminudo. Ma questa opposizione è altrettanto rotta al suo interno del Pdl, e sembra appassionarsi soltanto di primarie in famiglia e candidature alle stesse. È un'opposizione, per esser benevoli, puramente parlamentare. Sradicata dai movimenti di protesta nella scuola, tra i giovani, nell'associazionismo di ogni tipo massacrato dalle ultime finanziarie. E sradicata da Milano a Venezia a Trieste, dal cuore economico e culturale del Paese. Ma proprio da questi territori potrebbe riprendere l'iniziativa. È qui infatti che la "insofferenza" di ampi settori del Pdl nei confronti dell'egemonia leghista cui sono condannati dalla stessa strategia berlusconiana, può trasformarsi da lamento in fatto politico.

 

Questa "insofferenza" ha già ragioni profonde, una sua storia, suoi nomi. Ma mai potrà dar vita a un vero "laboratorio politico" se da parte del Pd non si inaugura (auctoritas di nuovo!) una stagione caratterizzata dal più forte, inequivoco impegno sui temi del federalismo e della riforma del welfare, e non si dichiara esplicitamente che le vecchie contrapposizioni Stato-mercato, pubblico-privato, destra-sinistra raccontano una storia che non ci riguarda più. La crisi dei due "blocchi" Pdl-Pd non è il prodotto di contrasti interni, ma di un'intera cultura politica, sia "di destra" che "di sinistra", che aveva pensato ad un riassetto del sistema italiano sulla base appunto del vecchio discrimine: una destra tutta-mercato, tutta-liberista, che avrebbe dovuto essere rappresentata dal Pdl, e una sinistra più-Stato, anti-individualista, ecc, "pascolo" del Pd. La crisi mondiale ha fatto saltare in aria questa "narrazione". Chi l'ha intuito, da una parte, è stato forse Tremonti. Dall'altra, molti ne parlano - e nessuna decisione ne segue, in attesa che maturi la crisi in casa altrui, come se essa non fosse l'altra faccia della propria. Così prospera l'unica novità, piaccia o no, della politica italiana degli ultimi 20 anni, cioè la Lega. L'unico partito in grado di condurre una politica d'assalto spregiudicata, almeno finché durerà l'Ordine bossiano. Ma partito assolutamente inidoneo ad aprire la fase costituente, di cui due crisi epocali ('89-90 e crack del liberismo selvaggio 2007) avrebbero dovuto suggerire almeno l'opportunità. Il territorio della Lega è il locale soltanto, non lo spazio dove, anche drammaticamente, si interconnettono e confliggono i movimenti universali di merci, denaro, uomini. Ma questo è lo spazio politico, oltre lo stesso Stato, che è necessario oggi prepararsi a governare. È per ordinarlo che si esige quella nuova fase costituente. Così pare che nessuno dei soggetti in campo sia in grado di rappresentarla. Ma una certezza cresce: che meno di tutti lo possa il nostro Cesare-attore. http://espresso.repubblica.it/dettaglio/dopo-b-la-paura-del-vuoto/2131638/18/1

 

Scommettiamo che Cacciari non sarà tra i papabili della (im)possibile compagine governativa del centro sinistra... :chetristezza

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Cacciari si è tirato fuori di propria iniziativa dalla politica e sinceramente è uomo di spessore e carisma, ma totalmente inaffidabile dal punto di vista strettamente strategico. Chiaro che in una squadra di governo lo vedrei bene, ma prima dovrebbero confrontarsi e appianare certi dissidi interni, perchè lui è uno che va per la sua strada anche se non coincide col bene collettivo del partito o del governo. Occhio.

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Ancora con sto "rivoluzionario" federalismo

:chetristezza:chetristezza

 

Papero, nel tuo commento al grassettato hai dimenticato di commentare ummm, un pò tutto il resto, sostanzialmente il fulcro del perché il federalismo qui non si può attuare.

Soprattutto se il riferimento è lo sviluppo che ha ottenuto l'Aragona ( quarta regione più ricca di una Spagna tutt'altro che federale...ma proprio tutt'altro!)

 

Mettiti il cuore in pace, i tuoi soldi, come i soldi di tutti, finanzieranno gli sprechi distribuiti per tutta la penisola ancora per moooooooolto tempo.

:asd

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Ancora con sto "rivoluzionario" federalismo

:chetristezza:chetristezza

 

Papero, nel tuo commento al grassettato hai dimenticato di commentare ummm, un pò tutto il resto, sostanzialmente il fulcro del perché il federalismo qui non si può attuare.

Soprattutto se il riferimento è lo sviluppo che ha ottenuto l'Aragona ( quarta regione più ricca di una Spagna tutt'altro che federale...ma proprio tutt'altro!)

 

Mettiti il cuore in pace, i tuoi soldi, come i soldi di tutti, finanzieranno gli sprechi distribuiti per tutta la penisola ancora per moooooooolto tempo.

:asd

 

Weps, quello spagnolo non si chiama federalismo, ma se le Regioni italiane avessero i poteri delle Comunità Autonome, sarei già contento...

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"BISOGNA FERMALI, ANCHE IL TERRORISMO PARTI' DAGLIATENEI"

 

Da "GIORNO/RESTO/NAZIONE" di giovedì 23 ottobre 2008

INTERVISTA A COSSIGA «Bisogna fermarli, anche il terrorismo partì dagli atenei» di ANDREA CANGINI - ROMA PRESIDENTE Cossiga, pensa che minacciando l`uso della forza pubblica contro gli studenti Berlusconi abbia esagerato? «Dipende, se ritiene d`essere il presidente del Consiglio di uno Stato forte, no, ha fatto benissimo.

Ma poiché l`Italia è uno Stato debole, e all`opposizione non c`è il granitico Pci ma l`evanescente Pd, temo che alle parole non seguiranno i fatti e che quindi Berlusconi farà una figurac- cia».

Quali fatti dovrebbero seguire? «Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand`ero ministro dell`Interno».

Ossia? «In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito...».

Gli universitari, invece? «Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città».

Dopo di che? «Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri».

Nel senso che...

«Nel senso che le forze dell`ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano».

Anche i docenti? «Soprattutto i docenti».

Presidente, il suo è un paradosso, no? «Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì. Si rende conto della gravità di quello che sta succedendo? Ci sono insegnanti che in- dottrinano i bambini e li portano in piazza: un atteggiamento criminale!».

E lei si rende conto di quel che direbbero in Europa dopo una cura del genere? «In Italia torna il fascismo», direbbero.

«Balle, questa è la ricetta democratica:

spegnere la fiamma prima che divampi l`incendio».

Quale incendio? «Non esagero, credo davvero che il terrorismo tornerà a insanguinare le strade di questo Paese. E non vorrei che ci si dimenticasse che le Brigate rosse non sono nate nelle fabbriche ma nelle università.

E che gli slogan che usavano li avevano usati prima di loro il Movimento studentesco e la sinistra sindacale».

E` dunque possibile che la storia si ripeta? «Non è possibile, è probabile.

Per questo dico: non dimentichiamo che le Br nacquero perché il fuoco non fu spento per tempo».

Il Pd di Veltroni è dalla parte dei manifestanti.

«Mah, guardi, francamente io Veltroni che va in piazza col rischio di prendersi le botte non ce lo vedo. Lo vedo meglio in un club esclusivo di Chicago ad applaudire Obama...».

Non andrà in piazza con un bastone, certo, ma politicamente...

«Politicamente, sta facendo lo stesso errore che fece il Pci all`inizio del- la contestazione: fece da sponda al movimento illudendosi di controllarlo, ma quando, com`era logico, nel mirino finirono anche loro cambiarono radicalmente registro.

La cosiddetta linea della fermezza applicata da Andreotti, da Zaccagnini e da me, era stato Berlinguer a volerla... Ma oggi c`è il Pd, un ectoplasma guidato da un ectoplasma. Ed è anche per questo che Berlusconi farebbe bene ad essere più prudente».

CONFRONTO «Ieri un Pci granitico oggi Pd ectoplasma Perciò Berlusconi dev`essere prudente» [.]

 

 

"Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri"

 

 

"ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano"

 

"Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì"

 

 

Con tutto il rispetto caro picconatore.....potevi schiantare anche prima

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uno in meno a cui davamo da mangiare... sperando che il prossimo sia lui

 

Se ti riferisci a Cossiga scusa ma lo trovo poco rispettoso!!!

 

Un grande UOMO!!!

 

R.I.P.

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riusciremo a parlare bene pure di riina quando morirà.

 

Non ho alcun dubbio in proposito...

si dirà che ha creato nuovi posti di lavoro ed ha contribuito a risolvere (per quanto nelle sue possibilità) il problema delle pensioni... :zitto

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Sotto i nostri occhi, distolti dalla Parentopoli privata di Gianfranco Fini usata come arma di distruzione politica e di distrazione di massa, sta passando uno scandalo pubblico che non stiamo vedendo. Questo scandalo si chiama Mondadori. Il colosso editoriale di Segrate - di cui il premier Berlusconi è "mero proprietario" e la figlia Marina è presidente - doveva al Fisco la bellezza di 400 miliardi di vecchie lire, per una controversia iniziata nel '91. Grazie al decreto numero 40, approvato dal governo il 25 marzo e convertito in legge il 22 maggio, potrà chiudere la maxi-vertenza pagando un mini-tributo: non i 350 milioni di euro previsti (tra mancati versamenti d'imposta, sanzioni e interessi) ma solo 8,6. E amici come prima.

 

Un "condono riservato". Meglio ancora, una legge "ad aziendam". Che si somma alle 36 leggi "ad personam" volute e fatte licenziare dalle Camere dal Cavaliere, in questi tumultuosi quindici anni di avventurismo politico. Repubblica ha già dato la notizia, in splendida solitudine, l'11 agosto scorso. Ma ora che il centrodestra discute di una "questione morale" al suo interno, ora che la propaganda di regime costruisce teoremi assolutori sul "così fan tutti" e la macchina del fango istruisce dossier avvelenati sulle compravendite immobiliari, è utile tornarci su. E raccontare fin dall'inizio la storia, che descrive meglio di ogni altra l'enormità del conflitto di interessi del premier, il micidiale intreccio tra funzioni pubbliche e affari privati, l'uso personale del potere esecutivo e l'abuso politico sul potere legislativo.

 

Il prologo: paura a Segrate

 

La vicenda inizia nel 1991, quando il marchio Mondadori, da poco entrato nell'orbita berlusconiana, decide di varare una vasta riorganizzazione nelle province dell'impero. Scatta una fusione infragruppo tra la stessa Arnoldo Mondadori Editore e la Arnoldo Mondadori Editore Finanziaria (Amef). Operazioni molto in voga, soprattutto all'epoca, per nascondere plusvalenze e pagare meno tasse. Il Fisco se ne accorge, scattano gli accertamenti, e le Finanze chiedono inizialmente 200 miliardi di imposte da versare. L'azienda ricorre e si apre il solito, lunghissimo contenzioso. Da allora, la Mondadori vince i due round iniziali, davanti alle Commissioni tributarie di primo e di secondo grado. È assistita al meglio: i suoi interessi fiscali li cura, in aula, lo studio tributario di Giulio Tremonti, nel 1991 non ancora ministro delle Finanze (lo diventerà nel '94, con il primo governo Berlusconi). Nell'autunno del 2008 l'Agenzia delle Entrate presenta il suo ricorso in terzo grado, alla Cassazione. Nel frattempo la somma dovuta dall'azienda editoriale del presidente del Consiglio è lievitata: 173 milioni di euro di imposte dovute, alle quali si devono aggiungere gli interessi, le indennità di mora e le eventuali sanzioni. Il totale fa 350 milioni di euro, appunto.

 

Se la Suprema Corte accogliesse il ricorso, per Segrate sarebbe un salasso pesantissimo. Soprattutto in una fase di crisi drammatica per il mercato editoriale, affogato quanto e più di altri settori dalla "tempesta perfetta" dei mutui subprime che dal 2007 in poi sommerge l'economia del pianeta. Così, nel silenzio che aleggia sull'intera vicenda e nel circuito perverso del berlusconismo che lega la famiglia naturale alla famiglia politica, scatta un piano con le relative contromisure. Che non sono aziendali, secondo il principio del liberalismo classico: mi difendo "nel" mercato, e non "dal" mercato. Ma normative, secondo il principio del liberismo berlusconiano: se dal mercato non mi posso difendere, cambio le leggi. Un "metodo" collaudato, ormai, che anche sul fronte dell'economia (come avviene da anni su quello della giustizia) esige il "salto di qualità": chiamando in causa la politica, mobilitando il partito del premier, militarizzando il Parlamento. Un "metodo" che, nel caso specifico, si tradurrà in tre tentativi successivi di piegare l'ordinamento generale in funzione di un vantaggio particolare. I primi due falliranno. Il terzo centrerà l'obiettivo.

 

Il primo tentativo: il "pacchetto giustizia"

 

Siamo all'inverno 2008. Nessuno sa nulla, del braccio di ferro che vede impegnate la Mondadori e l'Amministrazione Finanziaria. Nel frattempo, il 13 aprile dello stesso anno il Cavaliere ha stravinto le elezioni, è di nuovo capo del governo, e Tremonti, da "difensore" del colosso di Segrate in veste di tributarista, è diventato "accusatore" del gruppo, in veste di ministro dell'Economia. Può scattare il primo tentativo. E nessuno si insospettisce, quando nel mese di dicembre un altro ministro del Berlusconi Terzo, il guardasigilli Angelino Alfano, presenta il suo corposo "pacchetto giustizia" nel quale, insieme al processo breve e alla nuova disciplina delle intercettazioni telefoniche, compare anche la cosiddetta "definizione agevolata delle liti tributarie". Una norma stringatissima: prevede che nelle controversie fiscali nelle quali abbia avuto una sentenza favorevole, in primo e in secondo grado, il contribuente può estinguere la pendenza, senza aspettare l'eventuale pronuncia successiva in terzo grado (cioè la Cassazione) versando all'erario il 5% del dovuto. È un piccolo "colpo di spugna", senz'altro. Ma è l'ennesimo, e sembra rientrare nella logica delle sanatorie generalizzate, delle quali i governi di centrodestra sono da sempre paladini. In realtà, è esattamente il "condono riservato" che serve alla Mondadori.

 

L'operazione non riesce. Il treno del "pacchetto giustizia", che veicola la pillola avvelenata di quello che poi sarà ribattezzato il "Lodo Cassazione", non parte. La dura reazione del Quirinale, dei magistrati e dell'opposizione, sia sul processo breve che sulle intercettazioni, costringe Alfano allo stop. "Il pacchetto giustizia è rinviato al prossimo anno", dichiara il Guardasigilli alla vigilia di Natale. Così si blocca anche la "leggina" salva-Mondadori. Ma dietro le quinte, nei primi mesi del 2009, non si blocca il lavoro dell'inner circle del presidente del Consiglio. Il tempo stringe: la Cassazione ha già fissato l'udienza per il 28 ottobre 2009, di fronte alla sezione tributaria, per discutere della controversia fiscale tra l'Agenzia delle Entrate e l'azienda di Segrate. Così scatta il secondo tentativo. In autunno si discute alla Camera la Legge Finanziaria per il 2010. È il secondo "treno" in partenza, e per chi lavora a tutelare gli affari del premier è da prendere al volo.

 

Il secondo tentativo: la Finanziaria

 

Giusto alla vigilia dell'udienza davanti alla sezione tributaria della Suprema Corte, presieduta da un magistrato notoriamente inflessibile come Enrico Altieri, accadono due fatti. Il primo fatto accade al "Palazzaccio" di Piazza Cavour: il 27 ottobre il presidente della Cassazione Vincenzo Carbone (che poi risulterà pesantemente coinvolto nello scandalo della cosiddetta P3) decide a sorpresa di togliere la causa Agenzia delle Entrate/Mondadori alla sezione tributaria, e di affidarla alle Sezioni Unite come richiesto dagli avvocati di Segrate, con l'ovvio slittamento dei tempi in cui verrà discussa. Il secondo fatto accade a Montecitorio: il 29 ottobre, in piena notte, il presidente della Commissione Bilancio Antonio Azzolini, ovviamente del Pdl, trasmette alla Camera il testo di due emendamenti alla Finanziaria. Il primo innalza da 75 a 78 anni l'età di pensionamento per i magistrati della Cassazione (Carbone, il presidente che due giorni prima ha deciso di attribuire la causa Mondadori alle Sezioni Unite, sta per compiere proprio 75 anni, e quindi dovrebbe lasciare il servizio di lì a poco). Il secondo riproduce testualmente la "definizione agevolata delle liti tributarie" già prevista un anno prima dal "pacchetto giustizia" di Alfano. È di nuovo la legge "ad aziendam", che stavolta, con la corsia preferenziale della manovra economica, non può non arrivare al traguardo.

 

Ma anche questo secondo tentativo fallisce. Stavolta, a bloccarlo, è Gianfranco Fini. La mattina del 30 ottobre, cioè poche ore dopo il blitz notturno di Azzolini, il relatore alla Finanziaria Maurizio Sala (ex An) avverte il presidente della Camera: "Leggiti questo emendamento che consente a chi è in causa con il Fisco e ha avuto ragione in primo e in secondo grado di evitare la Cassazione pagando un obolo del 5%: c'è del marcio in Danimarca...". Fini legge, e capisce tutto. È l'emendamento salva-Mondadori, con la manovra non c'entra nulla, e non può passare. La norma salta ancora una volta. E non a caso, proprio in quella fase, cominciano a crescere le tensioni politiche tra Berlusconi e Fini, che due anni dopo porteranno alla rottura. Ma crescono anche le preoccupazioni di Marina sull'andamento dei conti di Segrate. Per questo il premier e i suoi uomini non demordono, e di lì a poco tornano all'attacco. Scatta il terzo tentativo. Siamo ai primi mesi del 2010, e sui binari di Palazzo Chigi c'è un terzo "treno" pronto a partire. Il 25 marzo il governo vara il decreto legge numero 40. È il cosiddetto "decreto incentivi", un provvedimento monstre, dove l'esecutivo infila di tutto. Durante l'iter di conversione, il Parlamento completa l'opera. Il 28 aprile, ancora una volta durante una seduta notturna, un altro parlamentare del Pdl, Alessandro Pagano, ripete il blitz, e ripresenta un emendamento con la norma salva-Mondadori.

 

Il terzo tentativo: il "decreto incentivi"

 

Stavolta, finalmente, l'operazione riesce. Il 22 maggio le Camere convertono definitivamente il decreto. All'articolo 3, relativo alla "rapida definizione delle controversie tributarie pendenti da oltre 10 anni e per le quali l'Amministrazione Finanziaria è risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio", il comma 2 bis traduce in legge la norma "ad aziendam": "Il contribuente può estinguere la controversia pagando un importo pari al 5% del suo valore (riferito alle sole imposte oggetto di contestazione, in primo grado, senza tener conto degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni)". E pazienza se il presidente della Repubblica Napolitano, poco dopo, sul "decreto incentivi" invia alle Camere un messaggio per esprimere "dubbi in ordine alla sussistenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza, per alcune nuove disposizioni introdotte, con emendamento, nel corso del dibattito parlamentare". E pazienza se la critica del Quirinale riguarda proprio quell'articolo 3, comma 2 bis. Ormai il gioco è fatto. Il colosso editoriale di proprietà del presidente del Consiglio è sostanzialmente salvo. Per consentire alla Mondadori di chiudere definitivamente i conti con il Fisco manca ancora un banale dettaglio, che rende necessario un ultimo passaggio parlamentare. Il decreto 40 non ha precisato che, per considerare concluso a tutti gli effetti il contenzioso, occorre la certificazione da parte dell'Amministrazione Finanziaria.

 

Per questo, nel bilancio semestrale 2010 del gruppo di Segrate, presentato il 30 giugno scorso, Marina Berlusconi fa accantonare "8.653 migliaia di euro relativi al versamento dell'importo previsto dal decreto legge 25 marzo 2010, numero 40" sulla "chiusura delle liti pendenti", e fa scrivere, a pagina 61, al capitolo "Altre attività correnti": "Pur nella convinzione della correttezza del proprio operato, e con l'obiettivo di non esporre la società a una situazione di incertezza ulteriore, sono state attuate le attività preparatorie rispetto al procedimento sopra richiamato. In particolare si è proceduto all'effettuazione del versamento sopra richiamato. Nelle more della definizione del quadro normativo, a fronte dell'introduzione di specifiche attestazioni da parte dell'Amministrazione Finanziaria previste nelle ultime modifiche al decreto, e tenuto anche conto del fatto che gli atti necessari per il perfezionamento del procedimento e l'acquisizione dei relativi effetti non sono stati ancora completati, la società ha ritenuto di iscrivere l'importo anticipato nella posta in esame...". Ricapitolando: la Mondadori mette da parte poco più di 8,6 milioni di euro, cioè il 5% dei 173 che avrebbe dovuto al Fisco (al netto di sanzioni e interessi), in attesa di considerare perfezionato il versamento al Fisco in base alle ultime integrazioni al decreto che saranno effettuate in Parlamento. E le integrazioni arrivano puntuali, alla Camera, il 7 luglio: nella manovra 2011 il relatore Antonio Azzolini (ancora lui) inserisce l'emendamento finale: "L'avvenuto pagamento estingue il giudizio a seguito dell'attestazione degli uffici dell'Amministrazione Finanziaria comprovanti la regolarità dell'istanza e il pagamento integrale di quanto dovuto". Ci siamo: ora il "delitto" è davvero perfetto. La Mondadori può pagare pochi spiccioli, e chiudere in gloria e per sempre la guerra con l'Erario, che a sua volta gliene da atto rilasciandogli regolare "quietanza".

 

L'epilogo: una nazione "ad personam"?

 

Sembra un romanzaccio di fanta-finanza o di fanta-politica. È invece la pura e semplice cronaca di un pasticciaccio di regime. Nel quale tutto è vero, tutto torna e tutto si tiene. Stavolta Berlusconi non può dire "non mi occupo degli affari delle mie aziende": non è forse vero che il 3 dicembre 2009 (come riportato testualmente dalle intercettazioni dell'inchiesta di Trani) nel pieno del secondo tentativo di far passare la legge "ad aziendam" dice al telefono al commissario dell'Agcom Giancarlo Innocenzi "è una cosa pazzesca, ho il fisco che mi chiede 900 milioni... De Benedetti che me li chiede ma ha già avuto una sentenza a favore, 750 milioni, pensa te, e mia moglie che mi chiede 90 miliardi delle vecchie lire all'anno... sono messo bene, no?". Stavolta Berlusconi non può dire che Carboni, Martino e Lombardi sono solo "quattro sfigati in pensione": non è forse vero che nelle 15 mila pagine dell'inchiesta delle procure sulla cosiddetta P3 la parola "Mondadori" ricorre 430 volte (insieme alle 27 in cui si ripete la parola "Cesare") e che nella frenetica attività della rete criminale creata per condizionare i magistrati nell'interesse del premier sono finiti sia il presidente della Cassazione Carbone (cui come abbiamo visto spettava il compito di dirottare alle Sezioni Unite la vertenza Mondadori-Agenzia delle Entrate) sia il presidente dell'Avvocatura dello Stato Oscar Fiumara (cui competeva il necessario via libera a quel "dirottamento"?).

 

È tutto agli atti. Una sola domanda: di fronte a un simile sfregio delle norme del diritto, un simile spregio dei principi del mercato e un simile spreco di denaro pubblico, ci si chiede come possano tacere le istituzioni, le forze politiche, le Confindustrie, gli organi di informazione. Possibile che "ad personam", o "ad aziendam", sia ormai diventata un'intera nazione?

 

Nonostante tutto, se oggi si andasse a nuove elezioni, la maggioranza degli italiani o pseudo tali gli rinnoverebbe la fiducia. :chetristezza:chetristezza:chetristezza

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Nonostante tutto, se oggi si andasse a nuove elezioni, la maggioranza degli italiani o pseudo tali gli rinnoverebbe la fiducia. :chetristezza:chetristezza:chetristezza

 

Grazie Rob per l'articolo... non lo avevo letto! Mi sai dare la fonte?

 

Comunque sei sicuro che rinnoverebbe la fiducia??

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Nonostante tutto, se oggi si andasse a nuove elezioni, la maggioranza degli italiani o pseudo tali gli rinnoverebbe la fiducia. :chetristezza:chetristezza:chetristezza

 

Grazie Rob per l'articolo... non lo avevo letto! Mi sai dare la fonte?

 

Comunque sei sicuro che rinnoverebbe la fiducia??

 

La fonte è Repubblica...vorrei anch'io che non fosse cosi',ma i sondaggi e la vigente legge elettorale "Porcellum", consegnerebbero ancora il paese nelle mani del nano malefico.(cit. Cossiga) e all'altro cerebroleso di Bossi.

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http://www.repubblica.it/politica/2010/08/19/news/mondadori_salvata_dal_fisco_scandalo_ad_aziendam_nell_interesse_del_cavaliere-6365174/

 

Questo è l'articolo riportato.

 

Comunque si, se si andasse adesso alle urne il "Cavaliere" vincerebbe a mani basse scrollandosi di dosso pure il fardello di Fini...

:chetristezza

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ma quale rip e rip, ma avete una minima conoscenza della storia d'Italia e della biografia di Kossiga?

 

comunque, stiamo solo "girando attorno al problema" (cit spinoza.it)

 

riguardo le elezioni, mettetevi il cuore in pace: con questa legge elettorale vincerà ancora Berlusconi

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Beh se persino Di Pietro e Bersani sono contrari alle Elezioni, mentre la Maggioranza le vorrebbe...

...penso che il 2 + 2 faccia 4 abbastanza nitidamente no?

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http://www.repubblica.it/politica/2010/08/19/news/mondadori_salvata_dal_fisco_scandalo_ad_aziendam_nell_interesse_del_cavaliere-6365174/

 

Questo è l'articolo riportato.

 

Comunque si, se si andasse adesso alle urne il "Cavaliere" vincerebbe a mani basse scrollandosi di dosso pure il fardello di Fini...

:chetristezza

 

Ed è per questo che vuole anticipare le elezioni, idem per Bossi che avrebbe sicuramente un leghista a capo della Camera.

 

Purtroppo finchè ci sarà questa legge elettorale, che non permette l'elezione di un leader di schieramento, Berlusconi vincerà sempre. Ed è per questo che bisogna spingere verso un governo tecnico che cambi assolutamente questa legge.

 

Napolitano si è schierato: è contro le elezioni.

Spero faccia subito qualcosa per fermare questa ridicola campagna acquisti che Berlusconi ed i suoi stanno attuando per attirare i finiani al Pdl.

 

Che tristezza questo paese... Pensavo che non ci fosse limite al peggio, mi sbagliavo.

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  • 3 weeks later...

...

 

Oggi sono leggermente irritato. Capita. Non me ne frega un cazzo dei politici. Continuano a farmi domande su cosa penso di Schifani o di Chiamparino, di Fini o di Bossi. Voglio dare una risposta definitiva e cumulativa anche per il futuro: "Non me ne frega un cazzzo (ho aggiunto una z di rinforzo) di qualunque politico".

Non devono esistere i politici, ma che mestiere è? Deve esistere la politica come "servizio civile", cittadini a tempo determinato che si dedicano al loro Paese. I quotidiani sono diventati gossip, Casini onnipresente, Fini l'uomo nuovo e lo psiconano e Bersani e D'Alema. Basta. Questa gente è responsabile dello sfacelo del Paese, vive da trent'anni di stipendi pubblici e non si è ancora tolta dalle palle da sola. E ci parla di soluzioni, di strategia europea, di alleanze programmatiche? Non sono riusciti neppure a far funzionare i servizi minimi, come le Poste e la Scuola e la Giustizia e il Fisco e la Salute.

L'altro giorno hanno riaperto le scuole. Il servizio del Tg1, il telegiornale fogna di Stato, ha fatto vedere un liceo romano, i marciapiedi invasi dalle macchine, i muri e persino le porte della scuola completamente imbrattati e nessuno che si vergognava. Che educazione, che esempio diamo ai nostri ragazzi? Come fa la Repubblica di oggi a dedicare da pagina 1 a pagina 9 alle salme della politica, da "Fini incompatibile con la sua carica" a "Quelle cene del lunedì ad Arcore" al "Poker di alternative così si può rompere la legge Porcellum" con dotti riferimenti a Calderoli, D'Alema e Casini e SOLO pagina 10 all'assassinio di una persona perbene, il sindaco Angelo Vassallo? Che informazione di merda date ai vostri lettori, cari giornalisti, stuoini dei politici di riferimento? In Italia non funziona nulla e tutto costa di più, dall'acqua, alle autostrade, alle Poste. Se viaggi ti ritrovi bloccato ogni mezz'ora dai lavori stradali, se ti connetti a Internet fai tempo a morire.

Basta con questa classe politica! Con questi nomi ammorbanti. Hanno indebitato ogni italiano con 30.000 euro, distrutto l'industria che poteva garantire un futuro alle nuove generazioni, dall'Olivetti, alla Telecom, all'Italtel, distrutto il territorio, consegnato quattro regioni alle mafie e anche gran parte del resto d'Italia. E ci vengono a far lezioni? E mi si deve chiedere cosa penso di un governo di coalizione destra-centro-sinistra o di elezioni con una legge anticostituzionale in cui non posso scegliere il candidato? Se la Nuova Destra salverà l'Italia o se la coalizione de noantri ci libererà dallo psiconano? Il cittadino deve prendere possesso della politica, della sua vita e questa massa di incapaci, nutriti dalla greppia pubblica, uscire dalla porta per non dover trovarsi a saltare dalla finestra. BASTA! Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.

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E la Lega pura e onesta

e la Lega unico movimento rivoluzionario

e il federalismo e la lotta contro gli sprechi

 

Dalla verifica dei voti delle due liste bocciate del Tar compiuta dal tribunale, soltanto il 13% dei suffragi è stato considerato valido per il presidente leghista. Se la tendenza sarà confermata nelle altre province, si profila il ribaltamento del risultato uscito dalle urne di marzo: Bresso sorpassa Cota. Ma poi bisognerà aspettare il verdetto del Consiglio di Stato

 

di VERA SCHIAVAZZI

 

 

 

 

Poco meno del 13 per cento. E' questa la percentuale di schede sulle quali gli elettori astigiani di Scanderebech e dei 'Consumatorì hanno tracciato due croci, una sul simbolo di lista, l'altra sul nome di un candidato presidente (Roberto Cota, perlopiù, ma in qualche caso anche Bresso, il grillino Davide Bono o l'autonomista Renzo Rabellino). Se la tendenza che arriva da Asti, dove il riconteggio delle 569 schede 'incriminatè è finito venerdì mattina, dovesse confermarsi nel resto del Piemonte, e se il Tar dovesse decidere che le due liste sono nulle, la vittoria di Cota verrebbe a sua volta cancellata: i voti di Scanderebech e dei Consumatori sono stati in tutto 15.000, il 13 per cento equivale ad un po' meno di 2.000, ne resterebbero 13.000 da annullare, ampiamente di più della differenza tra Cota e l'ex presidente Mercedes Bresso. Ma i 'se', in questa vicenda, sono ancora troppi. E se è vero che un nervosismo crescente di Lega e centrodestra accompagna i riconteggi, è vero anche che occorrerà attendere il termine delle operazioni, e soprattutto il pronunciamento del Consiglio di Stato del 19 ottobre per sapere come andranno le cose.

 

Il fatto che la maggior parte degli elettori non perda tempo a tracciare più di una croce era del resto ampiamente previsto e prevedibile e, del resto, la legge elettorale non lo impone. Ma se una o più liste vengono dichiarate invalide, o addirittura inesistenti, il risultato può cambiare anche a urne chiuse, sostengono i legali di Bresso. La settimana prossima si chiuderà il riconteggio anche a Biella, mentre (lunedì) s'inizierà quello di Alessandria: tutte insieme, le province piemontesi equivalgono al voto di Torino, dove le operazioni inizieranno entro pochi giorni, non appena risolti i problemi relativi al trasporto delle schede. Mercedes Bresso si dichiara "soddisfatta" dei numeri che arrivano da Asti: "in termini relativi, però, parliamo di una piccola provincia, quando i voti complessivi da controllare sono oltre 15.000". "Abbiamo atteso a lungo l'applicazione della sentenza - rimarca Mercedes Bresso - a questo punto mi auguro che non si creino altri impedimenti, in modo da arrivare all'udienza fissata dal Tar per il 7 ottobre con una situazione complessiva definita. Chi riteneva il riconteggio un'operazione titanica e impossibile a questo punto dovrà ricredersi, in pochi giorni, nonostante i numerosi impedimenti adottati, si è arrivati a concludere il lavoro in una provincia e molte altre si stanno organizzando".

 

Diametralmente opposto il giudizio del coordinatore del Pdl piemontese Enzo Ghigo: "Mi pare che il riconteggio ad Asti stia confermando la nostra tesi: sul 90% delle schede elettorali la croce è solo sul partito. Come avevamo denunciato quindi - continua l'esponente azzurro - stiamo sprecando i soldi dei contribuenti per scoprire l'acqua calda. La verità è che il centrosinistra chiede legalità arrampicandosi su dei cavilli, non pensando al costo sociale e democratico delle sue azioni. Per riassumere: il potere per il potere". E Ghigo torna a sottolineare un presunto errore commesso nei seggi di Biella, dove 200 voti spettanti a Cota sarebbero stati attribuiti a Bresso, benché l'episodio non abbia a che vedere col riconteggio delle liste Scanderebech e Consumatori: "Questi 200 voti non verranno mai riassegnati a Cota, visto che il centrodestra non ha proposto ricorso. Tutto questo alla faccia del diritto al voto e alla sovranità popolare: ma questa è la democrazia 'made Bresso'".

 

Sempre venerdì gli avvocati di Bresso hanno depositato in Tribunale la querela di falso necessaria a dimostrare che Michele e Carlo Giovine, promotori della lista Pensionati, hanno falsificato le firme dei candidati. I legali contestano questa necessità, ma hanno preferito comunque rispettare la scadenza decisa dal Tar, in attesa del parere del Consiglio di Stato.

 

 

 

Sono merde, come tutti gli altri.

Rivoluzionari sto paio di palle.

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  • 3 weeks later...

qualcuno ha per caso letto il discorso del comico di arcore?

 

in 3 anni vuol finire la Salerno-Reggio :ahahah

 

non mi sorprende più di tanto, perchè vive in un clima di campagna elettorale perenne. Ha anche tirato fuori il cavallo di battaglia, "meno tasse per tutti" :ahahah

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