La seconda nottata del back-to-back di metà settimana ci porta nel teatro (decaduto) di mille battaglie, un campo difficilmente espugnabile da chiunque: la EnergySolutions Arena di Salt Lake City. Un campo che però, ostilità a parte, ci è sempre stato favorevole sin dall’inizio del XXI secolo.
Il nostro inizio è, per così dire, speculare a quello di ieri contro i Suns: tanto Kobe (5/8 nel 1°q per 14 punti), poco (e male) le due torri che o sono avulse dal gioco, o non sfruttano i loro mismatch andando estremamente soft in post basso (Bynum) e accontentandosi di soluzioni dai 5-6 metri (Gasol). Il risultato è che, se non ci fosse il Mamba e Matt Barnes non fosse una presenza più che positiva, saremmo già sprofondati. E invece chiudiamo il quarto sul 26-23, ma la panchina rovina il faticosissimo e preziosissimo vantaggio che avevamo conquistato con delle decisioni cervellotiche da parte – rullo di tamburi – di MWP, e la sola presenza in campo di Walton (obbligata per altro, viste le defezioni di Murphy, McRoberts e Kapono) ci fa perdere fluidità in attacco, costringendoci ad alcune palle perse e a tiri presi allo scadere dei 24.
Una notizia positiva è che Darius Morris, dopo la sua fugace apparizione in preseason, fa il suo ingresso in campo e porta con sè delle doti che Fisher e Blake, per ragioni fisiche o di anagrafe, non hanno: difesa, discreto atletismo e decisioni non scellerate in campo.
Restiamo comunque a contatto, e col rientro dei titolari chiudiamo il gap fino al 41-42 all’intervallo. Ma il box score parla fin troppo chiaro: 5-16 combinato per i lunghi, 21 con 8-13 del Mamba e -6 di plus-minus per la panchina. Così non si può andare avanti.
Bill e Stu spendono parole fiduciose per il nostro secondo tempo, ed il nostro atteggiamento è positivo: trascinati da un monumentale Kobe (che alla fine del terzo quarto avrà aggiornato il tassametro a 31) operiamo il fatidico sorpasso e raggiungiamo il massimo vantaggio sul +6, accompagnato da una brutta notizia: Steve Blake si fa male al dito ed è costretto a ricevere delle cure dal “nostro” Gary Vitti, mentre i Jazz fanno il massimo sforzo per cercare l’aggancio.
Il terzo quarto si chiude sul 66-61 Lakers, e i mormoni completano la rimonta poco dopo (66-67, 6-0 run) con un Millsap fastidiosissimo e loro personale MVP (29 punti e 9 rimbalzi)… la partita è emozionantissima con continui cambi di fronte, tanto che sul 72-71 arriva la giocata icona della partita: Kobe ruba il pallone da una selva di mani, la passa a Bynum che aveva seguito l’azione il quale la consegna con un touch pass a un liberissimo Matt Barnes.
Lo stadio raggiunge livelli assordanti, alla stregua del “vecchio” DeltaCenter, dopo la tripla del pareggio di Josh Howard che ci getta nella disperazione a solo un minuto dalla fine. Kobe risponde da giocatore più forte del mondo con un fadeaway dal mezzo angolo, ma concediamo un sanguinoso rimbalzo offensivo al nostro tormento, Millsap. Con 7 secondi al termine, otteniamo quello che vogliamo: un jumper dai 7 metri in isolamento per il 24. Che va fuori. E non di poco. E’ overtime.
Raccontare l’OT azione per azione sarebbe superfluo, perchè bisogna sottolineare l’immensa prova di squadra che i nostri eroi in p&g ci hanno offerto: dai rimbalzi di Barnes, i punti di Kobe (immenso, 40 punti in back-to-back), la tripla del sorpasso dall’angolo di Pau che ripaga la sua prestazione insufficiente e infine la combo tap-in/stoppata decisiva di Andrew, che mette a nanna i “bambini” una volta per tutte. E’ trionfo, il primo in trasferta, conquistato giocando complessivamente male ma in modo glorioso negli ultimi 5 minuti, che dimostra il carattere di una squadra con un gioco ancora da plasmare, ma che sotto la superficie ha ben altro che confusione e scoramento, ha l’istinto dei campioni.
l.s.