L.A. Lakers vs Utah Jazz L 99-103 (28-17)


In attesa di un finale di stagione rovente, i nostri Lakers rinnovati e ringiovaniti dalla trade deadline si affacciano al consueto appuntamento domenicale con l’obiettivo di allungare la striscia vincente e accorciare il divario con San Antonio per il secondo posto a Ovest, che dista appena 1.5 partite.

I Jazz sono in back-to-back, vengono da una vittoria in overtime contro i Warriors e devono rinunciare a Raja Bell, Earl Watson e Al Jefferson, il che dovrebbe presagire un controllo abbastanza agevole della partita, da parte nostra…

…ma ovviamente gli àuguri, che leggevano i presagi tramite il volo degli uccelli, si sbagliavano. La partita è bruttissima sin dalla palla a due, dove dovremmo essere avanti immediatamente grazie alla pochezza dei nostri avversari, ma grazie a 10 palle perse nel solo primo quarto (di cui 4 di Bynum, che si farà perdonare più avanti) regaliamo un frustrante vantaggio di 3 punti dopo 12′ di orrenda pallacanestro.

Kobe è in una di quelle giornate che, per fortuna, capitano molto raramente: non riesce a prendere il ritmo, sbaglia un paio di rigori, non è nelle sue serate migliori fisicamente, e da lì va tutto in salita. Il risultato, al di là delle nude cifre, è che gioca uno dei peggiori primi tempi della stagione.

Sessions e la second unit cercano di cancellare i disastri dello starting five, e ci riescono eccome, servendo spesso sotto Bynum e Barnes sul perimetro. Kobe si iscrive a referto e tocchiamo anche il +10 sul 43-33, prima di prendere, puntualissimo, un parziale di 12-1 costellato da una miriade di palle perse, tiri pessimi e difesa porosa. All’intervallo è 45-44 Jazz.

Una delle leggi di Murphy (non Troy, ma quello di Arthur Bloch) recitava: “Quando non può andare peggio di così, lo farà.” …e succede esattamente questo. Un plauso va fatto a Millsap, un giocatore che vorrei sempre in una squadra di basket, che annulla la differenza di centimetri con Gasol (il quale gioca comunque un’ottima partita in attacco) e ci mette la solita intensità e solidità offensiva. Commettiamo altre 6 palle perse, e se Kobe è 2-13 dopo 3 quarti, l’imbarcata viene respinta da un immenso Bynum, che è a quota 23 alla terza sirena.

Una partita che doveva essere una passerella diventa un incubo, e non si spiega, se non metafisicamente, come Enes Kanter possa scrivere a referto 17 punti e 8 rimbalzi con un solo errore al tiro. Agguantiamo il pareggio sul 78 pari, ma invece di sorpassare prendiamo l’ennesimo sanguinoso parziale sottolineato dai fenomeni Alec Burks, il succitato Kanter e il riesumato Jamaal Tinsley. -10 con 7 minuti da giocare e apparente notte fonda.

Bynum e Gasol sono commoventi, combinano 51 punti e 21 rimbalzi in due, ma a 40 secondi dalla fine sembra finita: siamo sotto di 6 grazie a due tiri liberi di Millsap, ma Kobe con solo il terzo canestro della sua serata (un and-one) ci regala speranza con 33 secondi da giocare. Forziamo lo stop decisivo in difesa e otteniamo quello che vogliamo: pick & roll Bryant-Gasol. Kobe si alza da tre a 5 secondi dalla fine, il tiro è fuori (insieme ad altri 16 errori) e la partita finisce. Male. Come era iniziata.

La sconfitta, oltre che meritata, è secondo me didattica: non è ammissibile affrontare una partita di regular season con questa (non) intensità. Jackson non c’è più, se n’è andato, e fare gli sbruffoni accendendo e spegnendo un interruttore invisibile non ci compete più. Torneremo a fare i Marchesi del Grillo, ma per adesso siamo solo carbonai, portati a scuola da degli Utah Jazz che vincono solo di 4 pur giocando una partita quasi perfetta nei due lati del campo.

l.s.


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