Los Angeles Lakers @ Houston Rockets 112-125 (15-19)


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Senza Gasol, Howard e Hill, prosegue la crisi profonda dei Lakers. Ancora 125 punti concessi. Unica gioia: Nash raggiunge quota 10.000 assist in carriera.

Che questa fosse una partita difficile, lo si sapeva sin da quando le prime voci sulle assenze dei lunghi sono iniziate a circolare. D’altronde Houston è la squadra con il miglior attacco della Lega, i Lakers (come certificato dall’ultimo Eye-On) sono probabilmente la peggior difesa tra le squadre di “vertice”. Difficile aspettarsi un esito diverso da quello finale, nonostante all’inizio ci fossero discrete speranze per una reazione d’orgoglio.

Sarà la sensazione di avere le spalle al muro, sarà la presenza dell’indiavolato Sacre, persino eccessivo nell’energia che ci mette, in ogni caso quello che si vede in campo nei primissimi minuti è una squadra che per una volta mostra gli attributi. Non è necessario trovare per forza delle chiavi di lettura tecnico-tattiche, l’atteggiamento mostrato nel primo quarto non vuol dire che i Lakers difendono meglio senza Gasol o che attaccano meglio senza Howard. Vuol dire che, come dimostrato anche nella partita di Natale, è possibile di tanto in tanto superare certi limiti fisici e strutturali mettendo in campo un grande impegno e una grande dedizione e attenzione a tutti i dettagli e in tutti i momenti Peccato solo che l’illusione di una squadra che difenda svanisca dopo pochi minuti.

L’entusiasmo iniziale che fa volare i Lakers sul 18-6 è infatti destinato a raffreddarsi per il prevedibile ritorno dei padroni di casa. Analizzando il tutto da un punto di vista tecnico-tattico, è chiaro come Nash, giocando con Sacre e 3 piccoli, può potenzialmente far registrare un assist ad azione, tanta è la naturalezza e la semplicità con cui riesce a trovare un compagno libero contro una difesa certo non irreprensibile come quella dei Rockets. Occorre poi sottolineare come ancora una volta l’impatto di Jamison, in uscita dalla panchina come primo cambio dei lunghi, sia ai limiti del disastroso. Ci si ostina ad impiegarlo come spot-up shooter, come se fosse Matt Bonner, e lui si ostina a spadellare un tiro peggio dell’altro.

Il primo quarto si conclude con un’allegra sparatoria sul 34-28.

All’inizio del secondo quarto ho dovuto stropicciarmi gli occhi assonnati per un paio di volte per essere sicuro di veder bene. No, non è uno scherzo del sonno: in campo ci sono Duhon-Morris-Meeks-Jamison-Sacre. Un quintetto da Summer League, quella che si gioca a Luglio in cui anche ai magazzinieri viene data una possibilità di mettersi in mostra. E indovinate un po’ che succede con questo quintetto in campo? I Lakers mantengono il vantaggio! Certo, l’attacco rasenta e oltrepassa più volte i limiti del patetico, ma la difesa tiene botta e consente di restare in vantaggio e così di far riposare per 5 minuti pieni i vecchietti Nash e Bryant; di questi tempi è un lusso.

Peccato solo che al rientro dei titolari accada esattamente l’opposto di quello che ci si aspetta, cioè che i Lakers perdano il vantaggio subendo un parziale firmato Harden e Delfino. Mentre il Barba scherza con Sacre andandogli incontro in penetrazione e mandandolo sempre fuori tempo per la stoppata, l’argentino viene misteriosamente lasciato libero di bombardarci da 3 con un’attenzione difensiva pari a quella che tengono i carrelli porta-palloni al Three-Point Shootout dell’All Star Game. Ecco, c’è chi in questi giorni invocava un ritorno ad una difesa “jacksoniana” che fosse attenta a proteggere il pitturato e più permissiva sul tiro dal perimetro. Diciamo che qui viene messo volentieri in pratica il secondo principio, un po’ meno il primo.

Il secondo quarto si chiude con un sorriso (l’unico della serata?): Nash raggiunge quota 10,000 assist in carriera, quinto giocatore di sempre a riuscirci, raggiungendo nell’Olimpo Jason Kidd, Magic Johnson, Mark Jackson e John Stockton che guida la classifica all-time con 15,806 assist (sì, avete capito bene, roba che Nash dovrebbe giocare almeno altre sei stagioni piene comprese di PO per raggiungerlo). La perla che gli consente il taglio del traguardo parte, come ovvio che sia, da un pick and roll: è Jamison a raccoglierla e a segnare i punti più facili della sua partita.

Archiviato il primo tempo sul 62-61 lacustre, il terzo quarto riparte da dove era finito il secondo: un assist di Nash (stavolta per il roll di Sacre). Il copione è quello già descritto: il canadese mena le danze a piacimento, grazie anche ad un Kobe saggio abbastanza da lasciargli il proscenio. Siamo certi che questo quintetto con Metta da PF verrà riproposto spesso nelle prossime uscite, indipendentemente dagli infortuni e con buona pace di Gasol e Hill, perchè a D’Antoni non possono non brillare gli occhi quando il suo play gioca così. Jeremy Lin ha studiato ad Harvard, ma scommetto che un maestro così non ce l’ha mai avuto.

Peccato che si debba giocare anche nell’altra metà campo. Harden, ogni volta che la sua squadra va in difficoltà, si prende il peso dell’attacco sulle sue spalle e penetra nella difesa gialloviola come un grissino nel tonno Riomare. E questo significa che, anche se lo sforzo medio sembra persino essere accettabile a tratti, è destino che succeda quanto ho preannunciato nelle prime righe di questo articolo: la peggiore difesa contro il migliore attacco prende l’imbarcata. Un 21-4 pesantissimo che di fatto ammazza la partita. 37 punti subiti in 12 minuti, 96 già alla fine del terzo quarto. Non fosse per due triple di Duhon e Bryant negli ultimi trenta secondi, la partita sarebbe già chiusa qui.

E invece ci tocca assistere al quarto quarto, che di fatto altro non è che una lenta agonia. Se infatti da una parte i Lakers sono costretti a grandi sforzi per andare a segno, dall’altra parte i Rockets non fanno nessuna fatica. Ora è Lin a maramaldeggiare in penetrazione, ora sono i soliti Delfino e Harden con le dinamiche già descritte, ora è Parsons a ritagliarsi il suo piccolo momento di gloria. Fatto sta che i padroni di casa, una volta raggiunti i tre possessi di vantaggio, gestiscono il risultato. McHale è furbo nel mettere in campo un quintetto senza lunghi di peso (solo Morris in campo) per mettere a nudo le croniche difficoltà di rotazione avversaria, e tanto basta perchè si possa arrivare comodamente fino alla fine del match con in tasca una W, la nona nelle ultime undici per i texani.

Per i Lakers è crisi sempre più nera, tanto più che il calendario ci mette di fronte ad un back-to-back tremendo (stanotte ci sono gli Spurs). Se, come e quando usciremo da questo tunnel, ancora non è dato saperlo.

Boxscore

g.m.


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