Seconda W consecutiva per i Lakers, ottima prestazione contro i Bucks
Mi perdonerete se uso l’abusatissima formula “I Lakers vincono e convincono”, perchè rende bene l’idea della sensazone lasciata da questa partita. Una partita giocata in scioltezza dai titolari, che chiudono con un +/- medio di +19, e che ci dà delle importanti conferme sia sul piano fisico sia su quello psicologico.
Dopo il poco probante test con i tankeggianti Cavaliers, era infatti importante vedere quale sarebbe stato l’approccio mentale e difensivo contro una squadra come Milwaukee che può mettere in seria difficoltà con i suoi Ellis e Jennings una squadra che si presenti con una difesa inadeguata. Possiamo dire subito che la risposta da questo punto di vista è ottima. I primi 8 minuti del match sono quasi perfetti: Bryant e Nash dialogano a piacimento, con il canadese a dettare i tempi dell’attacco e a siglare 4 assist veloci (chiuderà a 9 il primo tempo, a 11 la partita), mentre il capitano dispone a piacimento del mismatch contro Ellis. Si registra una statistica particolarmente ben accetta: 10 assist per i primi 10 canestri dal campo. Certo, la difesa dei Bucks è proprio il tipo di difesa contro cui il nostro talento viene fuori, essendo priva di pressione sulla palla, ad ogni modo i segnali sono confortanti.
E sono ancora più confortanti in difesa. Difficile trovare un appunto alla metà campo difensiva nei primi 8 minuti, tutti sono stati evidentemente illuminati sulla via per Damasco e hanno cominciato a ruotare aggressivi, a tagliar fuori a rimbalzo, a tenere il primo passo del palleggiatore. Un miracolo? No, basta solo metterci la voglia. In effetti qualche equivoco tattico c’è, qualche misunderstanding legato ad una scarsa comunicazione e ad una scarsa intesa, ma in attesa di costruire un sistema difensivo, almeno ci si può sbattere per compensare e avere una difesa di medio livello. Tenete aperto questo capitolo, ci ritorniamo a breve.
La favola in cui tutto funziona alla grande viene interrotta dall’idea di D’Antoni che sul 26-15 si possa far contemporaneamente riposare Howard, Bryant e Nash e dare spazio ad un improbabile Duhon-Morris-Clark-Jamison-Sacre. Ha davvero senso commentare come mai Milwaukee piazzi un 12-3 che la riporta in partita? No, è inutile commentare, vale solo la pena di evidenziare il buon impatto di Jamison, almeno in attacco (3/3 da 3), laddove in difesa non sorprende la sua scarsa attitudine.
All’inizio del secondo quarto Nash resta ancora in panca, mentre tornano gli altri titolari. Vi chiedo a questo punto di riaprire il capitolo aperto in precedenza sulla nostra difesa. Milwaukee infatti mette alla berlina la nostra difesa non con le accelerate o le sparatorie del duo Ellis-Jennings, per la verità entrambi pessimi nel primo tempo, ma con una ben meno attesa coppia di guardie: Udrih-Dunleavy. Due giocatori lenti, che corrono poco e che saltano meno, ma che possiedono un elevato QI cestistico. Se infatti c’è intensità da parte nostra, come dicevamo prima, manca un sistema difensivo vero e proprio e questo porta a numerosi imbarazzi quando il pallone viene mosso dall’attacco da giocatori intelligenti che sappiano vedere i buchi e sfruttarli a loro vantaggio. E’ quello che i due bianchi dei Bucks fanno, ed è grazie a loro che riescono ad arrivare al massimo vantaggio sul 44-41.
Poi per fortuna rivediamo la luce. Stephen John Nash. Al suo rientro in campo salta subito agli occhi la facilità impressionante con cui riesca a mettere in ritmo chi vuole contro questa difesa. Fa contento Howard, fa contenti i tiratori sul perimetro, se serve va alla conclusione personale. Insomma, fa letteralmente quello che vuole. I Lakers giocano 17 minuti di pallacanestro offensiva eccellente (17 è il minutaggio del canadese nel primo tempo), e allungano in finale di secondo quarto perchè tra gli avversari rientrano Ellis e Jennings, il che paradossalmente ci aiuta a difendere meglio, viste le premesse fatte in precedenza e visto che i due tirano piuttosto male. Si chiude dunque sul 57-50 il primo tempo.
La prima metà del terzo quarto scorre via equilibrata, con un vantaggio Lakers oscillante tra i 6 e gli 11 punti, e ci dà la possibilità di porre in evidenza un paio di cose. Primo: l’atteggiamento difensivo di Kobe Bryant. In una partita in cui per altro non si riposa affatto in attacco (anzi gioca una gran partita, 31+6 e 12/19 dal campo), ci mette anche una discreta lena in difesa, e si nota da quanto alto vada a pressare il portatore di palla (in pratica sulla rimessa). E’ chiaro che il suo sforzo funga da esempio per gli altri, che a loro volta aumentano il grado di energia che ci mettono in questa metà campo. Secondo: la differenza che c’è atleticamente e nel pitturato tra Clark e Jamison. Se quest’ultimo infatti non riesce a bissare l’ottimo impatto in attacco del primo tempo, poi doverlo tenere in campo con tutte le sue lacune difensive e la mollezza a rimbalzo diventa una tassa troppo onerosa da pagare. Al contrario, Clark ci dà atletismo e versatilità, può difendere in modo discreto ben tre posizioni, regge contro i rimbalzisti avversari e tiene persino contro una penetrazione di Ellis. Non fosse così giovane e ancora agli albori della sua carriera NBA, lo si potrebbe definire come un classico “glue guy”, poco appariscente ma piuttosto importante per gli equilibri della squadra.
Contenuta a fatica la mareggiata Jennings (8 punti in 1 minuto), D’Antoni ha la saggia idea di lasciare almeno un titolare (Kobe) in campo con la 2nd unit, in modo da evitare prevedibili parzialoni, 2nd unit da cui è attualmente scomparso Meeks. La differenza tra panchina e titolari resta comunque clamorosa, non tanto in difesa (al di là delle voragini lasciate qua e là da Jamison) quanto in attacco, dove ai Bucks basta piazzare Mbah-a-Moute su Bryant per togliere tutte le soluzioni offensive ad un quintetto che già di base ne ha molto molto poche. Il timore che il buon lavoro fatto fino a quel momento possa dissolversi è fondato, ma per fortuna i Bucks non affondano il colpo e in qualche modo i Lakers mantengono il vantaggio di +6 alla fine del terzo periodo.
All’inizio del quarto quarto rientra Howard e si sente, perchè chiude la partita. Il nostro futuro franchise player pulisce tutto a rimbalzo e non disdegna di inchiodare un paio di schiacciate dall’altra parte: è lui il perno del parziale di 13-4 che spacca in due il match. Sarà la schiena che sta meglio? Sarà il suo mindset che sta cambiando? Sarà l’intesa con i compagni che sta aumentando? In bocca al lupo a chi voglia cimentarsi nella risposta a queste tre domande.
Con il rientro del quintetto titolare c’è solo da gestire il tesoretto di 15 punti di vantaggio costruito. E visto che né Ellis né Jennings riescono ad incidere in alcun modo, il vantaggio può addirittura aumentare. I proverbiali chiodi nella bara li mette Bryant. W Lakers, e avversari tenuti addirittura al di sotto dei 90 punti.
Non si poteva arrivare al big match contro Miami in un momento migliore. Gli Heat sono 8-9 in trasferta, ma è ragionevole pensare che nella notte tra giovedì e venerdì verranno allo Staples per vincere e uscire dalle critiche recenti con un classico statement game. La nostra speranza è che quanto di buono lasciato intravedere da queste due W non sia dimenticato e buttato al vento.
g.m.